Skam 5, Francesco Centorame: “A mio figlio insegnerò a raccontarsi, ma da padre ho paura del futuro”
La quinta stagione di Skam arriva dritta come un pugno allo stomaco. Su Netflix dal 1 settembre 2022, il capitolo conclusivo della serie racconta con un realismo disarmante la storia di Elia, Francesco Centorame, nel percorso di liberazione dai suoi fantasmi. Ansia, vergogna, paura del confronto con gli altri e con un sistema che lo vorrebbe relegato al ruolo di "maschio". Un collezionista di cuori infranti.
Se fino a qui il suo personaggio fa da sfondo alle storie degli altri muovendosi silenziosamente sott'acqua, quando il suo bisogno di tornare a galla diventa una necessità vitale Elia grida al mondo il suo segreto più inconfessabile: "Ho il micropene". Nell'era in cui si riscrivono i canoni della femminilità e le questioni di genere sono ampiamente indagate, la confessione di Elia ci invita ad attraversare l'universo maschile. Perché se il patriarcato è da combattere, lo stereotipo del machismo lo è altrettanto.
In 10 episodi Skam 5 fa luce sul rapporto tossico tra virilità e l'ossessiva attenzione sui corpi, spesso esili come nel caso di Elia e custodi di personalità fragili. Sullo sfondo c'è la scuola, un micro cosmo che talvolta può essere spietato, e un gap nella comunicazione con gli adulti, riferimenti sempre più precari per i ragazzi. Un racconto che passa ancora una volta per le chat di Whatsapp, dove io segreti più intimi sembrano più facili da confessare.
Francesco, hai dovuto perdere 7 chili per entrare "nel corpo" di Elia. Entrare nella sua mente è stato altrettanto difficile?
Ho fatto un bel lavoro con un nutrizionista per arrivare ad un corpo più fragile, più gracile, da maneggiare con cura. A livello emotivo, non è stato particolarmente difficile. Si pensa sempre che gli attori debbano fare un lavoro incredibile, ma credo che basti capire perché una personaggio si muove. Ognuno di noi si muove per un bisogno e quando lo capisci devi fare sì che sia quello a guidarti. Io mi sono semplicemente affidato alla storia di Elia, l’ho ascoltato, l’ho compreso.
E qual è quindi il bisogno di Elia?
Come la maggior parte di noi, ha bisogno di essere amato. Ha bisogno di trovare un luogo d’amore, un luogo in cui sentirsi protetto, sicuro. Per fortuna arriva Viola.
Nonostante il padre soffra dello stesso problema, il loro rapporto è fatto di silenzi. Ora che anche tu sei diventato padre, che idea ti sei fatto del gap che esiste nella comunicazione tra genitori e figli?
Culturalmente quando un uomo ha un problema, specie se è molto intimo, va a parlare con una donna. E anche io l’ho fatto. La madre è un porto sicuro, il padre per cultura lo è di meno. La figura maschile è da sempre un po’ più ostica dal punto di vista emotivo. Quando ad un bambino di due anni dici che non deve piangere e fare la "femminuccia", lui cresce con l'idea che aprirsi sia sbagliato, impara a nascondere le sue debolezze, ma quando poi ha 20 anni si trova davanti ad un muro difficilissimo da superare per farsi comprendere.
"Da piccolo non parlavo", hai raccontato. Hai detto anche di aver sofferto di attacchi di panico, fino a qualche anno fa. Come li hai superati?
Io ho fatto tantissima psicoterapia e sono tutt’ora in analisi. Credo che l’attacco di panico sia sempre un allarme positivo, vuol dire che tu non stai ascoltando abbastanza il tuo corpo. All’età di Elia, com’è successo a me, non è semplice dare quell’importanza alla figura dello psicologo. Spesso ci si rivolge quando c’è già un problema, invece vorrei che le persone iniziassero a farne un utilizzo preventivo, che ci si abituasse quotidianamente al “come sto”.
E tu ora come stai?
Io sono mesi che lavoro senza mai fermarmi e non ho più il tempo materiale di chiedermi “come sto”. Questa roba mi spaventa molto. Quello che mi ripeto spesso è: ‘Cerca di ascoltarti, di rispettarti, prenditi più tempo per te'.
Sei diventato padre giovanissimo. Non molti hanno il coraggio di crescere un figlio in un periodo così incerto, soprattuto a quest'età.
La domanda che più spesso le persone mi pongono è “Ma l’avete voluto o è capitato?”. Noi l’abbiamo voluto, ma perché ho sempre vissuto l’amore come qualcosa a senso unico, qualcosa per ricevere. Non avevo mai dato amore. Il rapporto con la madre di Leonardo, la mia compagna, è basato sul darlo e questo finalmente mi fa sentire molto meglio. Non avevo mai avuto la possibilità di comprenderlo prima.
In un tempo che corre veloce, qual è il maggior timore di un giovane padre per il futuro?
La mia paura più grande è non avere una stabilità economica. Spesso mi dico: ‘non ho un lavoro, non sono sicuro di quello che voglio fare, che cosa posso dare?' La verità è che oggi non si arriva più a 30 anni con le idee chiare sulla propria vita. Comunque non è detto che uno debba avere dei figli per forza, ma credo che se c’è la volontà di creare una famiglia, un modo lo si trova.
Se ti va di rispondere, qual è il tuo stato d'animo con le elezioni politiche alle porte?
Politicamente non mi sento rappresentato, non credo che i cittadini siano realmente ascoltati nei loro bisogni, altrimenti non ci troveremmo in questa situazione. Credo che sia soltanto una guerra al potere, nulla di più, e questo è molto triste.