"Come donna lascio a desiderare un po‘", è così che Raffaella Carrà apriva un'intervista con Enzo Biagi per tracciare un bilancio della sua vita, "non ho avuto la fortuna di avere figli, non ho un compagno affettuoso, mi piace molto il calore e non ce l'ho". Era questa Raffaella Pelloni, la donna più riservata e fragile che ha consentito "alla Carrà" di diventare la vigorosa icona dello spettacolo amata in tutto il mondo.
Il perché di questo senso di solitudine profondo e del bisogno costante di "possedere" le persone che facevano parte del suo quotidiano lo si comprende partendo dall'assenza di un padre, una figura che ha spesso condizionato le sue scelte di cuore. Uno vuoto colmato dalla presenza costante di due donne molto indipendenti e lignee: Angela Iris Dell'Utri, romagnola di origini siciliane, e nonna Andreina, con la quale gestiva il Caffè Centrale a Bellaria. Mamma Angela fu una delle prime donne a separarsi nel dopoguerra, stanca delle intemperanze di Raffaele Pelloni, "uomo buono e intelligente, ma inaffidabile, che non aveva alcun senso della famiglia". Un playboy, sintetizzerà, da figlia, negli anni a venire.
La spiccata presenza femminile nella formazione ha consentito alla piccola Lella di crescere con una profonda spinta femminista, con la consapevolezza che anche sola sarebbe riuscita a realizzare i suoi sogni. O quasi. Il desiderio di essere amata e protetta ha sempre accompagnato la determinazione con la quale sin da giovanissima si era avvicinata al mondo dello spettacolo. Una bambina rapita dalla musica e dalla danza, naturalmente predisposta ad essere, non a diventare, un animale da palcoscenico.
Raffa si avvale dei racconti di autori, assistenti, discografici, ballerini e amici che hanno colto parte del suo vissuto, sviluppando una personale interpretazione delle parti maggiormente taciute. E ne erano tante, intrappolate nella gelosia di un privato che non ha mai voluto contaminare l'immagine pubblica mostrando la parte più vulnerabile. Anche quella protezione, ricercata nei rapporti d'amore con Gianni Boncompagni e Sergio Japino, alla fine si è ritrovata a doverla corrispondere in piena autonomia a se stessa.
Si resta incantanti dal racconto, da competenze e cura con le quali i tre episodi sono stati scritti da Cristiana Farina con Barbara Boncompagni, Carlo Altinier, Salvatore Coppolino e Salvo Guercio, e dalla maestria di Daniele Luchetti alla regia. Tutti avrebbero potuto avere vita semplice, lasciarsi sedurre dalla diva Carrà, e invece hanno scelto la complessità della Pelloni. Le ricostruzioni dei momenti storici che fanno da sfondo alla sua vita meritano un plauso per la capacità di integrazione dei contesti nei quali nascono fenomeni televisivi che avrebbero cambiato il mezzo e piegato la diffidenza del pubblico.
Raffa è la musica di Raffaella Carrà che ancora oggi anima le discoteche e accende i gay pride con la sua immagine fluida. Mai incastrata in una definizione univoca, è stata spesso altro da sé, senza nemmeno volerlo. Troppo per illudersi di poterla capire fino in fondo, troppo perché ci riuscisse lei stessa. Continua a far rumore anche nel silenzio generato dalla sua morte e la sensazione che accompagna la fine di questa mini serie è che tanto altro si sarebbe potuto e voluto dire. Si rimane ancora affamati nonostante gli occhi sbarrati per alcuni minuti, increduli e incantati di fronte a tanta bellezza. Forte, forte, forte, come l'abbraccio nel quale avrebbe voluto sentirsi stretta. Nel quale sentiamo di trattenere l'enorme eredità che ci ha lasciato.