
Bastava aprire X dopo il secondo episodio di The Last of Us 2 per assistere al festival dell'indignazione: "Hanno ucciso Joel troppo presto!", "Nel gioco non succede così!", "Hanno rovinato tutto!". Un coro di lamentele, come se Pedro Pascal l'avesse quasi fatto di proposito, sacrificandosi magari sull'altare dello share anziché considerare che, forse, quella è una scelta narrativa deliberata e coerente con la storia.
La morte di Joel – avvenuta già nel secondo episodio della nuova stagione – è riuscita però nell'impresa di mettere d'accordo entrambi gli indignati speciali: le proteste si sono scatenate sia da quanti avevano giocato al videogioco, sia da quanti hanno cominciato la serie senza mai tenere il controller tra le mani. Soprattutto quest'ultimi si aspettavano una diversa tempistica, una diversa messa in scena, forse persino un diverso destino per il personaggio. Nonostante gli showrunner Craig Mazin e Neil Druckmann (quest'ultimo creatore del videogioco originale) abbiano difeso la scelta come funzionale alla narrazione, molti appassionati non ne vogliono sapere.
Provo sempre una compassione spassionata per gli indignati professionisti. Questi individui che confondono la loro esperienza personale con un dogma universale inviolabile. Come se le ore passate col controller in mano li avessero trasformati in sommi sacerdoti dell'unica Verità Narrativa Accettabile. Ma c'è una realtà fondamentale che questi custodi della purezza non riescono a digerire: l'esperienza di un videogioco, proprio come un romanzo, è intrinsecamente personale. Le emozioni si formano nella tua testa, modellate dalle tue scelte, dal tuo ritmo, dalla tua personale connessione con il protagonista.
Pretendere che un medium passivo come la televisione replichi quell'esperienza è come chiedere a un pesce di arrampicarsi su un albero. La trasposizione filmica, per sua natura, deve fare scelte. Deve condensare, riadattare, a volte reinventare. Non per tradire l'originale, ma per rispettare il nuovo medium in cui si trova ad esistere. È inevitabile che queste scelte disattendano qualche aspettativa individuale. Ma questo l'individuo non lo capisce. Preferisce sprecare pollici e neuroni per argomentare che no, The Last of Us è tutto sbagliato. Come se la HBO avesse fatto una serie televisiva specificamente per irritare proprio TE.
Invece di godersi il viaggio magnifico e universale di una vendetta che non farà altro che portare a un'altra vendetta. Invece di apprezzare l'opportunità di vedere quella storia raccontata in modi nuovi, con sfumature diverse, attraverso una lente alternativa. Ma la bellezza di una storia sta anche nella sua capacità di trasformarsi e rinascere. E se il finale non sarà esattamente come nel gioco? Eccoli pronti a urlare, latrare come cani alla luna. Il vero problema non è mai stato l'adattamento. Il problema è l'incapacità di accettare che quella storia non appartiene più solo a te. È diventata universale. E l'universale, per definizione, non potrà mai soddisfare il particolare. Tuttavia, il vostro videogioco è ancora lì, pronto a darvi l'esperienza che pretendete. Nessuno ve l'ha portato via. A differenza della vostra capacità di godervi qualcosa di nuovo.
