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Mimmo Borrelli ‘O Maestrale racconta il finale di Gomorra: “Sarà una vera apocalisse”

Mimmo Borrelli, rivelazione della stagione finale di Gomorra, a Fanpage.it racconta: “Ci ho messo del mio, come Totò, che si scriveva da solo le battute”.
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Mimmo Borrelli è stato uno dei personaggi rivelazione della stagione finale di Gomorra. Il suo personaggio, ‘o Maestrale, è stato fondamentale fino in fondo, dipanando quello che sarà il destino di questo titolo: "Sarà una vera apocalisse". Il drammaturgo, simbolo della rinascita teatrale napoletana, anticipa un po' di quello che vedremo questa sera, venerdì 17 dicembre dalle 21.15 su Sky Atlantic e su Now, ma ovviamente senza alcun tipo di spoiler. "Non è il solo, ma anche dalle sue scelte si deciderà il destino di questa guerra" anticipa Mimmo Borrelli sul finale della serie.

Mimmo, come finisce Gomorra?

Sarà una vera apocalisse. (ride, ndr) Non posso dire di più.

‘O Maestrale è stato una rivelazione. 

Sono fiero del mio personaggio perché, arrivando dal teatro, sono riuscito a dare una fermezza fisica che in scena non ho. Sono generalmente molto mobile, ma abbiamo cercato anche con la postura e con lo sguardo, questa particolarità che per me è stata una sfida molto interessante. Una pancia impostata, quasi a segnare il territorio con onore. È un aspetto che per la vecchia camorra era la regola poi, dopo il 1965 con la morte di Pasqualone ‘e Nola, sono cominciati gli agguati. Lui è ispirato a quelli del vecchio mondo, quando ci si ammazzava a duello, per appuntamento.

Quali riferimenti hai avuto per costruire il tuo personaggio?

Il personaggio è ispirato a Pasquale Barra, di cui si dice mangiò il cuore di Francis Turatello in carcere. Io ho pensato a un leone, che è pacato e quieto ma è in grado di ucciderti con una zampata. ‘O Maestrale vive d'istinto ed è stato abituato ad agire così. Per lui, è naturale spaccare teste e ammazzare persone. È un uomo che ha uno stomaco lunghissimo, ma l'unico punto debole è sua moglie. È quello che fa cadere l'uomo. E sono questi piccoli crolli d'amore che fanno deflagrare tutte queste persone. In questo mondo, può vincere solo chi non ha amore. Se hai un barlume di sentimento per te non c'è posto.

Nun ce ‘o vvoglio perdere. ‘O Maestrale ha un dialetto napoletano molto curato. 

Ci ho messo molto del mio, un po' come Totò che si scriveva da solo le battute. Io ho fatto così, mi è facile perché scrivo da sempre, sposto il pentagramma. Il linguaggio e la lingua è quello che ti consente meglio di stare dentro un personaggio. Quando ho capito che ‘o Maestrale era un uomo saggio e posato, ho cominciato a metterci del mio con le sue massime.

L'amore fa cadere questi personaggi, hai detto. Forse, ‘o Maestrale è uno dei quelli che è riuscito a toccare le corde dell'anima, anche una certa coerenza narrativa, pari solo a Salvatore Conte. Sei d'accordo?

Il personaggio di Salvatore Conte è stato incredibile, anche in relazione a una certa realtà. Ricordo i boss degli anni '80, parlavano proprio così. E forse il punto di contatto che c'è è la Fede, anche in determinate modalità di rapporto che non sono condivise con la spregiudicatezza dei Savastano.

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Rispetto al teatro, fai molto meno cinema e scegli con cura il tipo di cinema che vuoi fare. Come mai?

Ho rifiutato tante cose, su Gomorra erano anni che sentivo Roberto Saviano, Marco D'Amore. Era da tempo che ‘ramingavo' intorno a Gomorra, ma gli impegni teatrali che ho avuto sempre stati tanti. Avevano pensato a me un anno prima, ma il personaggio era un po' più anziano. La volontà di lavorare insieme però è arrivata sviluppando un'idea precedente, venendo incontro anche alla mia età scenica.

Guardi le serie tv?

Io sono un grande appassionato di serie straniere, ma quando parlo di straniere ti parlo di israeliane, coreane. Squid Game, per esempio, la conoscevo già perché la stavo aspettando.

E le serie italiane?

Dalle nostre parti i prodotti seriali sono considerati prodotti d'intrattenimento fini a se stessi, dando quindi a questa parola un'accezione negativa e facendo confusione con la fiction. È sbagliato, perché in Gomorra ci lavorano e ci hanno lavorato delle professionalità assolute. Nel mio caso, mi ripeto, ho avuto anche la possibilità di muovermi in un'ecosistema con una certa autonomia di scrittura.

Gomorra è una serie di intrattenimento?

Gomorra è una serie che fa anche qualità. È inevitabile cercare la qualità, perché è una produzione che non ha spalle coperte da fondi di alcun tipo. Ci sono personaggi di straordinaria purezza e di incredibile talento: da Claudio Cupellini a Marco D'Amore, da Nunzia Schiano a Tania Garribba, che fa mia moglie e che è un'attrice grandissima che ha esordito con la compagnia teatrale di Davide Iodice. Cito anche ‘o Galantommo, che è stato il mio maestro, Antonio Ferrante: 76 anni, ha lavorato con Eduardo e quando lo vedi recitare, si vede.

Tu sei un nome fortissimo nel teatro, ma con Gomorra hai incontrato una popolarità "globale". Come si sta?

Sono diventato un giocatore del Napoli. Lo immaginavo, ma non credevo così tanto affetto e così tanto amore. I miei social sono impazziti, mi arrivano più di 150 messaggi al giorno. Vorrei rispondere a tutti, ma non posso. Sta accadendo questa cosa che è molto bella, davvero.

In quest'epoca un po' schizofrenica su "quello che si può dire" e "quello che non si può dire", come reagisce il teatro?

C'è una frase di Goethe del Faust: "Cantare in versi dire ciò che nessuno mai vorrebbe udire". Il teatro è l'unico luogo dove devi riportare la verità, anche l'osceno, cioè il fuori scena, quello che non vedi più. Il teatro deve servire a creare una catarsi. Come lo fai? Come fai a verticalizzare l'orrore? Sei fai prosa, lo fai con le parole. Nel mio spettacolo "La cupa" c'è un pedofilo e mica posso mettergli a fargli violentare un bambino? Ma se in scena lui parla con la lingua di un pedofilo, con la bestemmia di un pedofilo, con la cattiveria generosa, la bontà che ha il secondo fine, il luogo dell'oscenità diventa denuncia. Devi evitare l'emulazione, evitare l'emulazione passa solo dall'orrore. I miei personaggi sono tutti ripugnanti anche per questo. Nel teatro c'è bisogno di rendere evidenti gli errori, per non poterne più commettere. Nel teatro bisogna fare il contrario di quello che si deve fare nella realtà, dove è la legge che deve intervenire.

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