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Maurizio Careddu: “Mare Fuori 5 in onda a inizio 2025. Critiche alla quarta stagione? Abbiamo rischiato”

Intervista a Maurizio Careddu, sceneggiatore di Mare Fuori che parla a Fanpage.it della quinta e sesta stagione e degli addii eccellenti alla serie. Nel suo curriculum alcune fiction e serie Tv più note degli ultimi 20 anni, da Un posto al Sole a I Cesaroni, fino a Rocco Schiavone.
A cura di Andrea Parrella
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"Sto chiudendo proprio adesso la quinta stagione di Mare Fuori", dice Maurizio Careddu all'inizio di questa telefonata, lasciando subito intendere che la macchina non si ferma. Lo sceneggiatore è l'elemento di continuità che traghetterà la serie fenomeno di questi ultimi anni in una nuova fase, dopo l'addio dal progetto dell'ideatrice Cristiana Farina e del regista Ivan Silvestrini. Careddu è uno dei nomi di punta della serialità italiana degli ultimi anni, un'istituzione se si considerano i titoli ai quali ha lavorato in carriera, dagli inizi a Un Posto al Sole passando per La Squadra, I Cesaroni, Squadra Antimafia, per poi arrivare ai successi di Rocco Schiavone e, appunto, Mare Fuori. Questa intervista è un'occasione per ragionare della quarta stagione ancora in onda e il pretesto per parlare del ruolo degli sceneggiatori nell'ambito della serialità televisiva.

La scrittura per la Tv è stata per molto tempo sottostimata, considerata meno "nobile" di quella cinematografica. Nonostante il boom della serialità nell'ultimo decennio resta questo pregiudizio?

Sicuramente ce n'è molto meno rispetto a un tempo, anche perché proprio chi faceva il cinema ha iniziato a fare serialità, dando una patente artistica a chi operava stabilmente in campo televisivo. Questo ha fatto sì che la serialità venisse vista con maggiore serietà anche da chi prima la sottovalutava.

Scrivere per il cinema e per la Tv è la stessa cosa?

Sono due forme di scrittura paritarie. Il succo è raccontare storie e cercare di coinvolgere il pubblico in ciò che racconti. La differenza la fa la struttura, la serie dà maggiore possibilità di esplorare un personaggio rispetto a quanto consenta il cinema.

Tu in quale ambito galleggi meglio?

Ho fatto sempre televisione, ma di recente ho scritto un film che è l'esordio alla regia di Neri Marcorè, "Zamora" (in sala dal 4 aprile, ndr). Il cinema è un po' un'oasi, ti dà possibilità di avere tempi più rilassati rispetto alle scadenze della serialità. Molti pensano il mestiere dello sceneggiatore sia lavorare da dove ti pare, quando ti pare, ma non è proprio così. È un lavoro molto bello che può essere anche una macchina infernale, come quando devi tirare fuori gli episodi anche se non ti gira.

Hai iniziato con Un Posto al Sole, di cui hai spesso parlato come di una sorta di palestra.

Un'esperienza formativa grandissima, che ti insegna a maneggiare personaggi per lungo tempo, a scavare nella loro essenza, cercando di non tradirli. Questa è la grande difficoltà.

Nella serialità il successo si riversa su chi scrive come una lama a doppio taglio: gratifica, ma può anche diventare un obbligo ad andare avanti proprio perché ha successo, col rischio di essere meno credibili.

Sì, questo può accadere, ma tradire il personaggio non si può, perché quando lo fai il pubblico non lo accetta. Andrai pure avanti, ma ti perdi chi segue quel prodotto.

Hai lavorato ad alcuni dei titoli più noti degli ultimi vent'anni di televisione. C'è un progetto che ha cambiato la tua prospettiva su questo lavoro?

In realtà io ho sempre inseguito questo lavoro, era quello che credevo fosse più adatto a me. Non c'è stato un momento in cui ho capito fosse il lavoro giusto. Ho fatto tante cose, da quelle più importanti a quelle che magari sono venute meno bene. Però posso dire di aver messo tutto quello che avevo in ogni prodotto fatto.

Una scena di Mare Fuori 4
Una scena di Mare Fuori 4

La paternità di un prodotto, cinematografico o seriale che sia, viene comunemente associata alla regia e non alla sceneggiatura, che ha uguale se non maggiore importanza. C'è una contesa tra questi due ambiti?

Nelle serie Tv il conflitto è deflagrante, nel momento in cui ti viene un'idea e cominci a lavorarci, ti documenti molto, arrivi davvero all'essenza della storia che vuoi raccontare e poi qualcuno la cambia. È complesso fare i conti con questa cosa.

Ti è capitato che il risultato fosse molto diverso da come lo avevi scritto?

Molto diverso non direi, spesso si sono perse cose belle, magari alcune anche sono state anche conquistate, ma è capitato che l'idea di base venisse travisata da chi ha lavorato alla regia. Credo sia un problema di sistema nostro, a qualunque sceneggiatore tu possa domandare se ha potere dopo aver consegnato le sceneggiature, la risposta sarà la stessa.

Cosa manca al sistema italiano?

In America esistono figure come gli showrunner che seguono il progetto dall'inizio alla fine a garanzia di una coerenza tra scrittura e riprese. In Italia questa figura è ancora latitante, mentre sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra registi e sceneggiatori che hanno creato la serie, proprio per mantenere il rigore del racconto e dei personaggi, per evitare il rischio che il regista possa stravolgere il lavoro di chi ha scritto. Lo sceneggiatore dovrebbe seguire fino in fondo tutto il progetto, avere in mano il timone. Questa sarebbe la cosa ideale.

La Squadra, Squadra Antimafia, Rocco Schiavone. Hai frequentato molto il poliziesco. Ci spieghi perché questo nella storia della serialità sembra funzionare sempre?

Il poliziesco rappresenta una modalità di racconto molto interessante per indagare il mondo che ci circonda, soprattutto quelli che oggi si chiamano mondo di sotto e di sopra. Detective, commissari, marescialli e questori varii, sono figure che hanno la funzione di stare a cavallo tra questi due mondi. È ciò che rende interessante questo genere, al di là delle particolarità dei prodotti citati, che sono molto diversi tra loro.

I Cesaroni (che tornerà con una nuova stagione) e Mare Fuori, quasi 20 anni di distanza tra loro, ma forse vicini per quell'elemento comune teen.

Qualche tematica qui e lì può coincidere, ma credo siano molto diversi. Per I Cesaroni ero uno sceneggiatore di puntata, era una serialità molto diversa da quella di oggi. Un prodotto principalmente per le famiglie, anche una storia d'amicizia, il ritrovo di due persone che si erano amate in passato. Mare Fuori nasce come un classico romanzo di formazione, dei ragazzi che dovevano imparare a crescere e come tutti sbagliano, ma i loro sbagli sono diversi da quelli delle persone che vivono in altri contesti, anche se in quel carcere ci sono andati a finire anche ragazzi borghesi che mai avrebbero immaginato di finirci dentro. Il caso del chiattillo è significativo.

Queste due serie sono accomunate anche dall'essere stati "scelti" da Netflix.

Sui Cesaroni mi pare un'operazione vintage. Su Mare Fuori è stato un volano incredibile, le prime due stagioni avevano avuto un ascolto sul chiaro superiore alle medie di rete di Rai2 ma non particolarmente rilevante, mentre su RaiPlay qualcosa si percepiva già in termini di numeri. Poi è successo che mentre giravamo la terza stagione, la serie a giugno ha iniziato a girare sul set. I ragazzi si trovavano la gente fuori dal set e non capivano cosa volessero. Nel giro di due mesi è scoppiata una mania e su Netflix l'hanno visto tutti. Quando ci dissero per la prima volta che avrebbero dato gli episodi in anticipo su RaiPlay abbiamo pensato ci stessero uccidendo. Invece hanno avuto ragione e sono stati bravi.

Un'immagine de I Cesaroni
Un'immagine de I Cesaroni

Da chiattillo a pirucchio, ‘o pazz', i soprannomi in Mare Fuori sono un tratto che caratterizza molto la serie. L'anomalia di Mare Fuori sta anche nel lavoro linguistico, eppure voi sceneggiatori non siete napoletani.

Io credo che in un'altra forse sono stato napoletano, avendo sempre avuto una predilezione. Da ragazzo i miei cantanti preferiti erano Bennato e Pino Daniele, poi è arrivato Raiz, ma c'era ovviamente Troisi e non a caso, credo, è poi arrivato Un Posto al Sole nella mia vita, così come Mare Fuori. Mi piace ricordare un episodio molto personale. Da ragazzino la mia famiglia mi portò a vedere Eduardo a teatro: "è anziano devi vederlo prima che muore", mi dissero. Che sia stata quella la scintilla di napoletanità che mi battezzato?

Per questa aderenza forte al dialetto napoletano avete avuto un'assistenza?

I soprannomi li abbiamo inventati noi, a parte alcuni inventati sul set. Noi concepiamo il tutto in un napoletano che è "televisivo", ma sono i ragazzi sul set a fare un lavoro di verità sul linguaggio che è stato una parte importante del successo della serie secondo me.

La scelta di usare i sottotitoli è stata di rottura per gli standard Rai. 

Assolutamente sì. Ci siamo detti: non si capisce? Mettiamoci i sottotitoli. Si è rivelata una scelta importante per un prodotto che, pur non andando su Rai1, è comunque di respiro generalista. C'era il dubbio che in un paese dove il doppiaggio la fa da padrone ci fosse predisposizione ai sottotitoli, ma è andata. Poi Mare Fuori racconta anche di un napoletano che cambia da quartiere a quartiere.

D'altronde il fattore linguistico a Napoli è particolarmente sentito, la vicenda Geolier a Sanremo insegna.

Esatto, e va detto che tra gli attori c'è chi è di Torre del Greco, chi di Cava, ancora maggiore varietà che abbiamo pensato fosse giusto lasciare quelle sporcature di linguaggio a chi le riconosce, anziché metterle su carta.

Il successo di Mare Fuori è anche figlio dell'effetto meme e della frammentazione sui social. Questa cosa ha modulato e condizionato la vostra scrittura?

Quando scrivi non pensi alla frase a effetto, però è chiaro che quando scrivi un momento significativo lo rileggi e pensi che lì ci faranno un meme sicuro. Non lo fai appositamente, ma intuisci che possa diventarlo. Il meme, in fondo, non è altro che la caratterizzazione estrema di un personaggio in una battuta.

La quarta stagione ha ricevuto critiche per un'involuzione o quantomeno un calo fisiologico dell'intensità narrativa. Vi ha sorpreso questo effetto, o lo avevate previsto?

È chiaro che avendo puntato su due personaggi come Carmine e Rosa e la loro storia, era prevedibile che quella tematica prendesse spazio a scapito del lato criminale della storia e quel ritmo che aveva caratterizzato le stagioni precedenti. Però ci sembrava una storia che valeva la pena raccontare e abbiamo corso il rischio. Poi c'è chi non ha digerito il finale e c'è chi ha apprezzato, ma fa parte del gioco. D'altronde più la serie diventa importante e più sale la preoccupazione di come venga percepita, del messaggio che si vuole dare. Sono cose a cui stiamo molto attenti.

Il finale di questa quarta stagione, con l'addio di alcuni personaggi e l'apertura di nuove storie, sembra aprire all'idea che Mare Fuori diventi un contenitore con tante nuove storie che potrebbe non finire mai. C'è un'ipotesi di effetto soap?

La soapizzazione può avvenire quando ci sono sempre gli stessi personaggi, fai un lavoro per il quale allunghi molto le storie e le porti con te per molto tempo. Non è mai stata la caratteristica di Mare Fuori, abbiamo sempre cercato molto ritmo e ci sono stati grandi cambiamenti in queste stagioni, con gli addii di pezzi da novanta, da Ciro a Pirucchio, Naditza e Filippo, Totò. Ma la serie ha sempre tenuto e l'ingresso di nuovi personaggi per uno sceneggiatore è sempre una ricchezza.

Prodotti di un successo così grande espongono sempre al rischio del classico "salto dello squalo", quel momento in cui una serie perde di credibilità. Avete ogni tanto il timore che la cosa accade?

È una paura presente, ma noi speriamo sempre di non aver fatto o non fare quel salto. Questo mi fa pensare, da grande fan di Lost, a quel famoso video degli sceneggiatori della serie che si perdevano in scelte improbabili: "E se il mare sparisse all'improvviso?". Ecco, non vorremmo arrivare a quel punto, ma essendo Mare Fuori una serie con un ricambio fisiologico, non penso ci sia.

I possibili addii eccellenti di alcuni personaggi, penso a Carmine o Edoardo, aiutano a rinfrescare il prodotto?

Partendo dal presupposto che non sappiamo ancora che fine farà Edoardo, in ogni caso i cambiamenti sono anche logici in un contesto del genere. I personaggi sono lì dentro per cogliere una seconda possibilità e ripartire. Se questi personaggi rimanessero lì dentro all'infinito, perderemmo di credibilità. È bello che i ragazzi siano di passaggio e cerchino di cogliere una nuova possibilità. C'è chi ce la fa e chi va a Poggioreale o fa una fine peggiore nella sua partita con la vita.

La pretesa di verosimiglianza è anche un'altra questione "contestata". Come se Mare Fuori fosse un documentario.

Spesso ci criticano per il fatto che alcuni dei protagonisti abbiano 20 anni e siano ancora lì dentro, ma in un carcere minorile, se tu hai commesso un reato prima di compiere i 18 anni, puoi restare fino ai 25. Certamente di stupidaggini può capitare se ne scrivano, lo stesso rapporto tra ragazzi e ragazze in un Ipm non può essere totalmente aderente a come lo rappresentiamo, ma su questo sono sempre stato dell'idea che se la storia è bella e i personaggi sono veri, queste domande nemmeno bisogna farsele.

Dopo la quarta stagione lascia Cristiana Farina, ideatrice della serie. Come l'hai presa?

Con Cristiana, che è un'amica, abbiamo seguito il prodotto sin dalla prima stagione e l'idea principale era sua, lavoriamo benissimo assieme e quindi mi è ovviamente dispiaciuto. Non poterci più mandare dei messaggi è triste. Soprattutto avrò da solo una responsabilità che dividevamo. Però la squadra che abbiamo è quella con cui abbiamo già lavorato, con Luca Monesi e Angelo Petrella, più due sceneggiatrici giovani come Sara Cavosi ed Elena Tramonti che danno grande energia.

Cristiana Farina con Maria Esposito, Rosa Ricci in Mare Fuori
Cristiana Farina con Maria Esposito, Rosa Ricci in Mare Fuori

Andrà via anche il regista Ivan Silvestrini. Ti preoccupa?

È una perdita importante ma non mi preoccupa perché Mare Fuori è una serie che punta molto sulla forza della scrittura, su cui continuerà a reggersi per la quinta e per la sesta stagione, visto che la Rai ci ha confermati per un altro biennio. All'inizio c'era Carmine Elia con una determinata impostazione ed è andata bene anche con Silvestrini. Il nuovo regista, Ludovico Di Martino, ha esperienza ed è giovane, ci sono tutte le premesse per fare un buon lavoro.

Le tempistiche per la prossima stagione resteranno le stesse? Dobbiamo aspettarci la quinta stagione a inizio 2025?

Sì, resta quella l'impostazione e questa è stata una cosa su cui il produttore ci ha sempre stimolati, investendo affinché non ci fossero buchi tra una stagione e l'altra, anche per fidelizzare il pubblico. Anche la Rai ci ha messo grande impegno e sostegno, mai una censura nonostante i temi forti e d'impatto.

Una serie alla quale hai lavorato il cui successo ti ha sorpreso?

Se devo pensare a una serie che è stato il primo grande successo, mi viene in mente di sicuro Roco Schiavone, anche per il privilegio di aver conosciuto e lavorato con Antonio Manzini. Nel leggere i romanzi mi preoccupavo di immaginare una resa che non tradisse la forza di Schiavone e lui mi diceva di non preoccuparmi, che andava bene così. Aveva ragione.

Schiavone è stato un altro dei prodotti che ha rotto gli schemi negli ultimi anni.

Sì, è stato forse un primo esperimento di antieroe. Finché Antonio sfornerà questi romanzi meravigliosi, terremo botta.

La forza di un personaggio come Schiavone è di quelli letterari à la James Bond che mette anche in conto un cambio di interprete?

Non so, quando tu leggi i romanzi pensi a questo personaggio fighissimo. In parte, facendo la serie, mi rendevo conto subentrasse il dispiacere di non potere più immaginare quei personaggi perché li avevo davanti, li vedevo. Oggi quando penso a Schiavone, io adesso vedo Marco Giallini, quindi immaginarmi qualcun altro sarebbe impossibile.

Marco Giallini nei panni di Rocco Schiavone
Marco Giallini nei panni di Rocco Schiavone

Parliamo infine di intelligenza artificiale, che in America è stata al centro delle proteste degli sceneggiatori. Siccome scrivere ha anche spesso a che fare con schemi ricorsivi, si può immaginare un utilizzo "positivo" dello strumento?

Di intelligenza artificiale si parla moltissimo in questo momento e l'allarme arriva proprio dagli Stati Uniti dove le writers room che erano spesso molto numerose, si sono ridotte. Noi eravamo già pochi, quindi non c'era molto da ridurre e quindi qui da noi si arriva un po' in ritardo, in questo caso per fortuna. È vero che ci sono meccanismi ricorsivi nella scrittura, ma se provi a fare una simulazione e chiedi a intelligenza artificiale di svilupparti una tua storia, ne viene fuori la classica storia banale, che seguirà tutte le regole giuste della bella sceneggiatura, ma senza anima.

Hai provato con cose che non avevi ancora scritto, o per confrontarle con ciò che avevi scritto già?

Entrambe. Ogni tanto ti dà prospettive che non avevi visto e può essere interessante, ma in maniera molto banale. Non vorrei fare la fine di quelli che pensavano la rivoluzione industriale non avrebbe avuto un impatto, ma credo che la mente umana non possa essere sostituita.

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