Mare Fuori 3, Massimiliano Caiazzo a Fanpage.it: “Un racconto universale che parla a tutti”
La terza stagione di Mare Fuori arriva su RaiPlay dal 1 febbraio. Sei episodi, poi i sei successivi entro il 15 febbraio, quando partirà la messa in onda su Rai2. È un prodotto sorprendente, dal riscontro enorme e difficile da quantificare, soprattutto per le dinamiche attraverso cui ha preso forma. Nel cast corale di Mare Fuori, spiccano alcuni volti in particolare, tra cui quello di Massimiliano Caiazzo. Originario di Castellamare di Stabia, interpreta Carmine Di Salvo, ma quest'anno lo abbiamo visto in Tv anche in Filumena Marturano. Ospite nella redazione napoletana di Fanpage.it, Massimiliano si è raccontato a fondo in una lunga intervista.
Partiamo da questa faccia assonnata. Perché?
È per il lavoro. Sto lavorando alle riprese di "Uonderbois" (serie Disney +, nel cast anche Serena Rossi, ndr). Giriamo di notte, a Napoli, in posti allucinanti, dal Museo Archeologico alla Gaiola. Sarà una serie che darà la possibilità di avere uno sguardo sulla città molto diverso rispetto a quelli che abbiamo avuto fino ad ora. È uno dei personaggi più difficili che abbia interpretato, che comunque sono ancora pochji. Anche uno dei più divertenti, nasconde molte sfaccettature. La serie ha uno stile urban fantasy, ma quello che mi interessa è dare un'identità a questo personaggio creato sulla falsariga della leggenda del munaciello, una sorta di Robin Hood contemporaneo.
Parliamo di Carmine, il tuo personaggio, e di anticipazioni della terza stagione di Mare Fuori. Dopo la metamorfosi della seconda stagione cosa gli succederà?
Cambierà ancora, ovviamente. È sempre mia premura, anche quando affronto un discorso seriale e quindi un personaggio che dovrebbe essere sempre lo stesso essere umano, portare un cambiamento alla storia in maniera coerente. Cambiamo noi e così i personaggi. In Carmine c'è un'evoluzione emotiva ma anche fisica, questi ragazzi entrano in un IPM in una fase adolescenziale ed escono da adulti. Lì dentro affrontano un processo di crescita, positivo o negativo che sia. Di sicuro vedremo Carmine cresciuto.
Supera definitivamente il dolore patito nella seconda stagione?
Alla fine della seconda lo abbiamo visto disposto a perdonare, un atto che io ritengo rivoluzionario, alla base di un cambiamento di ogni persona. L'anticipazione che posso dare è questa, se il lavoro su se stesso che abbiamo visto nella seconda stagione era di superficie, ora compie uno sforzo maggiore che lui fa in questa terza stagione. Prova a rialzarsi con fatica e forse riesce a provare amore verso se stesso.
Carmine deve superare la morte della sua ragazza. Come ti sei immedesimato nell'idea di superare una sofferenza così indicibile?
Quello che si può fare è accettare ciò che si è successo, che non è colpa tua, che non avevi potere su quello che è accaduto e non era sotto il tuo controllo. Il perdono passa anche da qui.
Mare Fuori è stata accolta con timidezza. Poi lo scorso anno, tra RaiPlay e il passaggio temporaneo su Netflix, c'è stato un boom. Avete percepito una sensazione di rivincita?
Personalmente non so se il senso di rivincita sia il termine esatto. Siamo stati ovviamente felici di quello che è successo. Ho avuto la sensazione che un certo tipo di lavoro sia stato riconosciuto. Per quel che riguarda la prima stagione, Mare Fuori era un progetto atipico per diversi aspetti, dalle tematiche a quello che in Italia eravamo pronti a vedere. Affrontare certe vicende in questo modo era nuovo, si va oltre il racconto della criminalità organizzata e ci si proietta nelle sue conseguenze. Sapevamo si trattasse di una scommessa.
Cosa ha permesso, secondo te, questa esplosione incredibile?
La nostra coesione, l'unità del gruppo da contestualizzare in un momento storico, con il boom dei social, che ha permesso a questa cosa di emergere. Io credo che il pubblico abbia espresso la curiosità di capire come lavorassimo. Non a caso le prime cose diventate virali sono state i video di noi dietro le quinte, il cazzeggio, la preparazione. Il filone teen ci ha dato una grande mano, dà la possibilità di raccontare la fase di transizione che noi ragazzi viviamo. E io noto che ci sia proprio l'intenzione da parte dell'industria di provare a raccontare questa generazione, parlare in un linguaggio comprensibile.
Su Mare Fuori si abusa della retorica della "serie solo per ragazzi". A me pare che vada ben oltre quella fascia di pubblico.
La forza di Mare Fuori è che può essere per tutti. Se racconti un ragazzo in un IPM non stai parlando solo della sua storia, ma di quella dei tanti, ad esempio, che si sono trovati improvvisamente senza punti di riferimento. Quando tratti un tema in un certo modo, con un linguaggio universale, non c'è più un pubblico di riferimento.
Ora la terza stagione, poi la quarta, la quinta e la sesta confermate. È ancora presto per parlare della fine di Mare Fuori?
Penso che come tutto ci siano un inizio e una fine. Tirare una cosa troppo a lungo solo perché funziona diventa una forzatura e forse anche una mancanza di rispetto nei confronti di quello che c'è stato, come le relazioni d'amore. Poi se c'è ancora molto da dire e raccontare, è giusto portarla avanti, ma bisogna avere i piedi per terra e accettare che un domani possa esserci una fine. La sola cosa che si può fare è dare tutto se stesso, sapendo che può essere finisca.
Temi di restare imprigionato in un carattere, nelle espressioni di Carmine Di Salvo?
Onestamente sì, è una paura che c'è ma mi tranquillizzano diversi fattori. In primis l'aspetto ludico, quello del lavoro sui personaggi, che mi permette di partecipare a un processo creativo per portare in superficie esseri umani che sono sempre diversi tra loro, come accaduto di recente. Con Filumena Marturano ho fatto il dandy, sono andato a lavorare per un paio di giorni in queste antiche sartorie napoletane. Inoltre mi tranquillizza la consapevolezza di avere a che fare con un pubblico molto intelligente, che capisce tu non sia il personaggio. Un pubblico che sta iniziando a smettere di etichettare.
L'idea di voler fare l'attore, che non è un lavoro per tutti, corrisponde alla convinzione di essere "bravo" e avere qualcosa in più degli altri?
No.
Contempli l'idea di fallimento?
Mi ci confronto ogni giorno.
In che modo?
Respirando, accettando semplicemente il fatto che questo successo possa finire da un momento all'altro, ma non finisce il fatto che io voglia fare questo lavoro. Poi non è che io ho iniziato con un boom, studiavo prima e continuo a farlo oggi. A volte questa sensazione di fallimento ce l'ho addosso, come fosse già avvenuto. Capita in questi giorni di processo, in queste settimane, che ti senta meno ispirato, più chiuso. Questo è un lavoro che comporta uno sforzo psicofisico particolare, difficile da scindere dalla vita quotidiana ma che va scisso. Possono accadere cose che intaccano il processo e non tutti i giorni riesci ad esprimere quello che vorresti e questo è frustrante. Porta a chiederti se tu non abbia fallito forse, ma poi domani chi lo sa?
Ti condiziona essere reputato uno dei volti di punta della tua generazione?
Cerco di non pensare a questa cosa, ammesso che sia vera, perché mi mette ansia. Quando leggo certi articoli che mi descrivono come una star in ascesa sono ovviamente felice, perché c'è chi da un lato riconosce un lavoro. Però così come lo accetto, mi impongo subito di dover azzerare tutto e ripartire da una tela bianca. Spesso lo faccio anche in maniera ossessiva.
Rispetto allo studio e al peso del lavoro di attore, senti attorno a te una certa leggerezza nell'approcciare questo mestiere, a credere che in fondo basti poco per farlo, essere semplicemente naturali?
Sì, lo vedo e mi incazzo come una bestia. Questo lavoro è un modo per parlare a tante persone e quindi è una responsabilità, dei messaggi che stai mandando, del fatto che sei in una squadra, persone che magari si sono alzate molto prima di te per venire a lavorare. È un tema affrontato spesso anche con dei miei colleghi, coetanei e non. Questo lavoro rappresenta una responsabilità e mi infastidisce vedere chi lo affronta con leggerezza.
Un'attitudine che tra l'altro prescinde dal talento, non conta quanto tu sia bravo.
Assolutamente e penso anche che a volte limitarsi a credere che essere naturali significhi recitare è anche una fuga. Quanto è più difficile entrare a fondo nel tema, sentirselo addosso, farsi attraversare da quella cosa e poi andarlo a comunicare?
Sei un "emigrante" per lavoro, lascia la Campania e vai a Roma per fare questo lavoro. Però diventi celebre con un personaggio espressione di napoletanità pura. Ci hai pensato?
Ovviamente sì, ma ci sono tanti fattori da prendere in considerazione. Il primo è il momento storico, oggi c'è un fermento artistico a Napoli incredibilmente stimolante e ne sono felice. Dopodiché a me interessa entrare in un processo creativo, che il personaggio sia napoletano o emiliano non cambia nulla. Studio i dialetti, mi piace lavorare con la voce che forse è la cosa più intima che abbiamo. La paura di una forma di ghettizzazione c'è, ma arriva fino a un certo punto. Il mercato italiano si sta aprendo molto a quello internazionale, siamo pieni di possibilità se non ci chiudiamo. E io non voglio chiudermi, non voglio censurarmi intellettualmente.
Sei molto parsimonioso col racconto del tuo privato, ma è una cosa con cui devi fare i conti. Che ragionamento fai su questo?
Forse non faccio ragionamenti, mi viene tutto in maniera molto naturale. Se c'è una cosa nella mia vita privata che mi piace e ho voglia di condividerla lo faccio. Ma mi rendo anche conto che quando sto su una cosa che mi piace, resto su quello. Ovvio che se ci sono persone che fanno parte della mia vita e i momenti che vivo con loro finiscono sulle piattaforme, anche queste persone finiscono nella mia bolla.
Però un conto è proteggere chi sta nella tua bolla e tu non vuoi coinvolgere, altra questione è essere totalmente disinteressati all'idea di mostrarsi e condividere i fatti propri. Da che parte stai?
Non è una cosa sulla quale mi sia mai interrogato. Caratterialmente a me dà molto fastidio l'invadenza.
Domattina dicono che Massimiliano Caiazzo ha un flirt con una persona. Che fai?
Ci rido. Anche perché penso che sia una cosa molto fast food. Oggi mi attribuiscono una relazione con una persona, nel 90% dei casi dopo 24 ore se ne sono dimenticati tutti. A meno che non sia un boom e per il momento non mi è ancora accaduto.
È una visione molto disincantata, se ci pensi. L'idea che dei personaggi pubblici non resti il privato è una forma di ottimismo.
Beh sì, non è che non resti, resta se lo cerchi su Google, questo è chiaro. Però non so, mi illudo che resti per una settimana, a meno che non si tratti, ripeto, di una cosa eclatante.
Cos'hai in cantiere per il futuro?
Ci dovrebbe essere un progetto al quale tengo tanto, con un regista che mi piace tanto, ma non posso dire molto.
Un regista italiano?
No, non è italiano, ma per scaramanzia non dico nulla. Speriamo succeda qualcosa.
Interpreti della tua generazione che ti impressionano?
Difficile fare nomi, ce ne sono molti. Mi vengono in mente Andrea Lattanzi, Giacomo Ferrara, Tonia De Micco, poi naturalmente il mio compagno di viaggio Nicolas Maupas, un talento allucinante, di una sensibilità e vulnerabilità che mi stupisce, anche per la sua capacità di accettare tutto questo in maniera totalmente rilassata e distesa. Ci influenziamo a vicenda, io sono un attore molto fisico, parto dal corpo, lui invece parte proprio da questa vulnerabilità, poi arriviamo insieme alle cose anche se da strade diverse.