Lea – Un nuovo giorno 2 si farà? Pasotti: “Me lo auguro, giusto dare al pubblico la seconda stagione”
Lea – Un nuovo giorno, serie con Anna Valle e Giorgio Pasotti, è giunta al finale di stagione. L'ultima puntata andrà in onda martedì 1 marzo alle ore 21:20 su Rai1. Gli spettatori, che hanno premiato la fiction con ottimi ascolti, scopriranno cosa accadrà tra Lea Castelli e Marco Colomba. L'infermiera e il Primario del reparto di Pediatria, riusciranno a salvare il loro matrimonio? Il pubblico, che si è appassionato alle vicende dei due protagonisti, chiede già la seconda stagione.
Lea – Un nuovo giorno 2 si farà? Fanpage.it lo ha chiesto a Giorgio Pasotti, che si è raccontato in una lunga intervista. Il ruolo di Marco lo ha coinvolto particolarmente. L'attore è laureato in Medicina e, grazie al suo personaggio, ha potuto sbirciare come sarebbe stata la sua vita se avesse intrapreso la professione medica. Inoltre, ha avvertito la responsabilità di indossare un camice e rappresentare degnamente gli operatori sanitari, dopo questi due anni segnati dal Covid. Un dolore, quello della pandemia, che ha vissuto sulla sua pelle: "Ho perso una zia, era su uno di quei carri militari".
Nella serie Lea – Un nuovo giorno interpreti il Primario di Pediatria Marco Colomba. Cosa ha significato per te indossare il camice?
Ho provato un gran senso di responsabilità. Quando ho accettato di fare questa serie ho voluto approfondire il più possibile la professione medica, cercando di essere credibile e di non ridurre tutto a una macchietta. Eravamo seguiti da un primario di pediatria che adesso è in pensione. Era tutti i giorni sul set, attentissimo a ogni nostro movimento.
Dopo due anni di pandemia, durante i quali gli operatori sanitari sono stati in prima linea, credo che il camice abbia acquistato anche grande valore simbolico.
Mettici anche "l'aggravante" di essere bergamasco. Ho vissuto il dolore causato dalla pandemia in modo molto partecipato. La mia città – come tutti sanno – è stata tra quelle colpite più duramente dal Covid. Vivendo a Roma, mi sono sentito impotente nei confronti di una comunità che non ho potuto aiutare in alcun modo. Ho perso una zia, era su uno di quei carri militari.
Eppure c'è ancora chi ha il coraggio di minimizzare la gravità del Covid, sostenendo che quei carri fossero una messinscena.
Questo mi fa male. Posso assicurare che mia zia non aveva alcuna malattia, prima di risultare positiva. È stata ricoverata in un momento critico, in cui gli ospedali erano pieni e i poveri medici dovevano decidere chi curare prima. Non posso accettare alcune uscite, che trovo incommentabili. Rispetto la scelta di chi decide di non vaccinarsi, ma che rimanga circoscritto a quello e non si vada oltre mettendo in mezzo teorie complottiste e folli. Il dolore io l'ho vissuto sulla mia pelle. Personalmente, ho fatto tre dosi e ho vaccinato anche mia figlia. Grazie al vaccino, quando ho preso il Covid, è stato poco più di un raffreddore.
Non tutti sanno che sei laureato in Medicina. Quella che hai vissuto sul set di Lea avrebbe potuto essere la tua quotidianità.
Sì, è stata una parte fondamentale della mia vita. Ogni giorno, quando mettevo il camice, mi capitava di fare questa riflessione. È stato curioso. Da un lato è un lavoro che ho sempre desiderato fare, dall'altro mi sono reso conto che forse non sarei stato un bravissimo medico (ride, ndr). Provo un po' di riluttanza nel vedere sangue, ferite aperte…
Quindi non ti sei mai pentito per non avere proseguito su quella strada?
No, pentito mai. Tutto ciò che ho fatto nella vita, l'ho fatto perché ci ho creduto. Però, devo dire, che mentre giravamo ho sentito, dal punto di vista emotivo, grande partecipazione nei confronti dei bambini malati. Intendiamoci, la malattia è drammatica a tutte le età, ma vedere i piccoli pazienti è qualcosa di innaturale. L'ingiustizia che li colpisce è un dolore così forte che lo fai tuo. Questa cosa mi ha fatto ricordare il motivo per cui avevo scelto di fare questa professione, quel sentimento forte, bello e potente, che si scatenava all'idea di poter aiutare il prossimo.
Nella serie ci sono delle scene di grande impatto, come quella in cui Marco si prende cura di un bambino nato prematuro.
Vedere una creatura appena nata intubata, anche solo per finta, è stato scioccante. C'era un'emozione che coinvolgeva anche la troupe, i tecnici, gli operatori. Molti di noi sono genitori ed è bastato un secondo perché si insinuasse il pensiero che i nostri figli potessero vivere una cosa del genere. C'era grande partecipazione da parte di tutti, come poche volte è successo nella mia vita professionale.
Lavorare a questa serie, ti ha trasmesso una nuova prospettiva sulla vita?
Sono ancora più consapevole di quanto sia preziosa e di come vada rispettata la vita umana. Una lezione che mi avevano già insegnato i bambini che vado a trovare nei reparti. In questi giorni, poi, si vedono le scene della folle guerra in Ucraina. Bambini che devono lasciare i genitori, che lottano contro la malattia, che vedono la loro vita distrutta e affrontano tutto con una dignità disarmante. Sono immagini molto forti. C'è voglia di stare vicini alla vita, di gioire per le piccole cose, di eliminare il superfluo, concentrandosi sulle cose importanti.
Tornando alla serie Lea, sebbene per motivi diversi, ti sei ritrovato di nuovo coinvolto in un triangolo amoroso proprio come accade a Claudio, personaggio che interpreti nella serie Mina Settembre.
Sarà l'ultimo triangolo, lo confesso. Basta, altrimenti ti etichettano subito (ride, ndr). Scherzi a parte, come dicevi, Marco è molto diverso da Claudio. Con lui finalmente è stato affrontato il tema della perdita di un figlio, anche dal punto di vista del padre. È una sofferenza incalcolabile. È comprensibile che un uomo che perde un figlio, possa avere momenti di grande sconforto e che ciò possa riflettersi in scelte sbagliate.
In fondo, le sue fragilità lo rendono umano e permettono allo spettatore di empatizzare.
È uno dei motivi per cui ho scelto di interpretarlo. Non mi piacciono gli eroi che non hanno sfumature e imperfezioni. Adoro gli uomini che hanno caratteristiche diverse. Magari nel lavoro sono abilissimi, ma nella vita commettono errori come ciascuno di noi. Li rende più amabili, più veri. Oggi l'eroe senza ombre è irreale. Non mi ci vedo più a interpretare questo tipo di personaggi.
Tua figlia Maria ha 12 anni. Ha visto la serie?
Per il momento, guarda il mio lavoro di sguincio. È interessata ma non vuole darmi la soddisfazione di esserlo. Mi dà i contentini, mi dice: "Sì, papà bravo" (ride, ndr). No, devo dire che è la mia primissima fan. Inizia a capire i sacrifici, le assenze, rispetta il mio lavoro. È giusto, però, che a questa età guardi altro. Per lei sono un attore di un'altra epoca.
Ivan Carlei, vice direttore di Rai Fiction, in conferenza stampa ha dichiarato di augurarsi che si faccia la seconda stagione di Lea – Un nuovo giorno e che la decisione sarebbe spettata al pubblico. Gli ascolti vi hanno premiato. Quindi la seconda stagione si farà?
Non so risponderti con esattezza. Augurandomi che la seconda stagione si possa fare, credo che Carlei abbia dato la risposta più intelligente. La scelta dovrebbe sempre spettare al pubblico, giudice supremo del nostro lavoro. In questo caso, gli spettatori sembrerebbero essersi appassionati tanto, quindi sarebbe giusto restituirgli nuove puntate.
Quindi torneresti a interpretare Marco volentieri.
Sì, mi piacerebbe molto. È un ruolo che ho amato tanto. È un personaggio che può dare vita a tantissime altre storie, ad approfondimenti e poi sarebbe interessante conoscere altre sfaccettature del suo carattere. Se dovesse esserci la seconda stagione, mi auguro che il mio ruolo si sviluppi in maniera brillante, nuova, interessante per il pubblico.
Dove ti rivedremo dopo Lea?
Sono in corso le riprese di Mina Settembre 2, che dureranno ancora per qualche mese. Ho appena debuttato con lo spettacolo "Racconti disumani" di Franz Kafka, con la regia di Alessandro Gassmann. Era il cavallo di battaglia del padre Vittorio. Poi, rimango direttore del Teatro Stabile d'Abruzzo e in estate inizierò la pre produzione del mio terzo film da regista, per il cinema questa volta. Ad aprile, riprenderò il tour di Hamlet, un progetto spettacolare che non snatura il grande classico di Shakespeare, ma lo restituisce con un apparato tecnologico imponente, che piacerà moltissimo al pubblico. Il lavoro più importante, più difficile e impegnativo, però resta quello del padre.