L'amica geniale 3 affonda il coltello nella questione di genere. Prigioni travestite da matrimoni, serve fidate che sacrificano l'individualità per favorire la coppia, sentimenti che si rincorrono alla ricerca di una verità che fa male, talmente dolorosa da non arrivare mai. È quello che rifugge Elena per tutta una vita, spettatrice del matrimonio angosciante di Lila e Stefano Carracci, per il quale l'amica deciderà di trasformarsi in una "zoccola", abbandonando il tetto coniugale.
Ed è quello ancor più terrificante di Gigliola, l'amica di Rione che si illude di "essersi sistemata" nell'appartamento vista mare di Michele Solara, dove si ritroverà sposata da sola, consapevole che il futuro marito la disprezza ed è anche innamorato di un'altra. Gabbie costruite sulla dipendenza affettiva, di Gigliola attaccata a Michele da quando è piccola, e sull'interesse, quello di Lila per Stefano, unica ancora di salvezza per sfuggire alla miseria e al compromesso con i Solara.
Pietro Airota non è mai appartenuto al microcosmo del Rione Luzzatti, eppure la fede al dito gli consente di soffocare talento e aspirazioni della moglie per relegarla al ruolo di moglie, madre, custode del talamo. È il tradimento più grande, quello di un uomo in apparenza diverso dagli altri, che si rivela essere forse peggio, perché capace di comprendere la bolla depressiva in cui ha costretto la moglie a sopravvivere.
La tristezza, quella di cui parla Lila, che spesso viene confusa con un "fatto di nervi" ed invece è solo lo scoramento cronico derivato dall'essere "scollate". La si vede chiaramente nella pazzia di Melina, sedotta e abbandonata da Donato Sarratore, poi dalla sua stessa gente, che si mostra sorda anche alle sue urla alla finestra. La ritroviamo negli occhi di Lila, quando si arrende all'emarginazione alla quale sente di essere predestinata, prima nelle relazioni e poi nel lavoro, nella stessa classe operaia che avrebbe dovuto rappresentare una forza.
Un grigiore che accompagna tutte le stanze che contengono la sua esile sagoma, il viso spigoloso e il passo incerto, una penombra fumosa, che sembra appartenere solo a lei, in contrapposizione alla luce che emana Elena pur standole a fianco. Solo i telefoni con i quali comunicano a distanza splendono con i loro colori vividi, il rosso e il giallo, in un equilibrio cromatico precario, che stride con le atmosfere tetre delle loro stanze.
"Perché chi sono io se tu non sei brava?", questa domanda è il senso più profondo di un'intera tetralogia. Le lacrime che bagnano i fili arrotolati alle dita tremanti, pause e silenzi assordanti, il genio intrappolato nella crisi della sua musa, l'unica in grado di dargli un senso, un motivo per esistere ancora.
Ognuno si racconta la vita come fa più comodo, dice Lila a Elena con il pancione, sdraiata sul divano in attesa che la maternità le cambi indole e aspirazioni. Arida, distaccata, impermeabile, e questo perché quel pancione contiene due grandi sconfitte: quella di Elena Greco, scrittrice e giornalista, e di Raffaella Cerullo, geniale solo in modo speculare all'affermazione della sua amica nel mondo.