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L’Amica Geniale 3, Francesco Serpico: “Odiare Nino Sarratore significa non capirlo”

L’Amica Geniale, l’odio per Nino Sarratore e le cose che di lui non ha capito, l’addio al personaggio, gli studi di medicina. Intervista a Francesco Serpico, interprete della serie Tv tratta dai romanzi di Elena Ferrante.
A cura di Andrea Parrella
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L'Amica Geniale si avvia alla conclusione e con l'appuntamento di domenica 27 febbraio non terminerà solo la terza stagione, ma anche il ruolo dei principali interpreti della serie Tv in onda su Rai1. Tra questi c'è Francesco Serpico, attore partenopeo che ha vestito i panni di Nino Sarratore da adolescente e poi nei primi anni dell'età adulta. La terza stagione si conclude proprio con la ricomparsa del suo personaggio, che tornerà per stravolgere ancora le vite delle due protagoniste e  Fanpage.it ha incontrato Serpico per una lunga intervista.

Parliamo di Nino, in questa stagione di fatto assente, ma pervasivo. Pesa di più quando non c'è.

Sì, questo è un suo "super potere". Recentemente mi ha fatto riflettere un dialogo di The Young Pope, in cui Jude Law cita in sequenza una serie di artisti che rappresentano per lui i più influenti della storia. Daft Punk, Salinger, Mina, Daniel Day Lewis. Tutti personaggi accomunati da un tratto comune: non si vedono mai. L'assenza è presenza e Nino, che scappa quando sente che le cose tremano e vacillano, fa sì che nella sua assenza si costruisca un immaginario di lui che si ingrandisce e che diventa anche asfissiante.

"Interpretare" vuol dire ampliare la comprensione del già detto, esplorare zone d'ombra. Interpretando Nino ti senti di aver capito cose di lui non scritte nelle pagine dei romanzi?

Diciamo che ho collegato i punti, provando a darmi delle spiegazioni. Nella costruzione iniziale del personaggio per me è stato fondamentale l'andare via dal rione, questo non poter giocare agli stessi giochi dei suoi compagni che lo ha reso outsider, un personaggio interessante prima agli occhi di Elena e poi di Lila che vedono una differenza enorme tra lui e coloro che sono rimasti schiacciati dal contesto in cui sono nati e colui che se ne è completamente distaccato. Un'altra cosa che mi ha fatto riflettere è stato il rapporto con la madre, non troppo descritto se non nella sua conflittualità. Ho percepito negli occhi del Nino piccolo le sofferenze patite dalla madre per questo padre fedifrago, questi comportamenti ambigui di Donato e delle persone del rione, come Melina. Sono cose che secondo me Nino assorbe e che modificano il suo rapporto con le donne.

Cos'è che non hai capito di lui?

Non ho compreso il motivo per cui lui, a un certo punto, volendo tornare da Lila e venendo riempito di botte scappa. Il suo moto di spinta nel voler tornare mi sembra troppo forte per poter arrivare a pensare che essere picchiati possa fermare quello slancio. Per il resto mi sembra un personaggio, da lì in poi, piuttosto lineare. Nei suoi vuoti e nei suoi tentativi goffi di colmarli.

Esistono i personaggi positivi e quelli negativi, ma pochi sono odiati Nino Sarratore, che pure non è un cattivo per definizione. Secondo te perché?

Ormai per me è diventato un meme, una cosa su cui scherzare. Non voglio giustificare o salvare il personaggio, solo comprenderlo fino a che lo accompagno, il resto è al giudizio del pubblico e in questo momento è chiaro: Nino Sarratore merda.

Come vivi questa cosa?

Io mi sento di invitare chiunque si lanci in queste accuse prive di una riflessione profonda a sforzarsi di comprendere e combattere davvero, focalizzandoli e isolandoli, gli atteggiamenti tossici. Se prendo un personaggio e lo brucio non sto cogliendo davvero il male di quel personaggio, ma lo sto idealizzando. In questo senso secondo me l'odio è faccia di una tensione e di un'attrazione verso quel tipo di atteggiamenti.

Hai prestato il volto a un personaggio con una vita costellata di errori. Lo hai perdonato?

Non mi arrogo il diritto di poter perdonare dei personaggi, ma posso dire che mi dispiace per lui. Questi comportamenti fanno male anche e soprattutto a chi li assume, perché ti impediscono di affidarti ad altre persone e di arricchirti dei rapporti. Io penso di aver compreso da dove venga Sarratore, ma di non poter capire il passaggio di metabolizzazione per arrivare agli esiti raggiunti, che io rinnego in toto. Nino rifiuta le sue responsabilità e mi dispiace per lui perché gli voglio bene, perché l'ho accompagnato e gli ho dato vita ed oggi fa parte di me. Giudicarlo mi riuscirebbe impossibile.

Cosa pensa Nino Sarratore quando chiude la porta di casa e resta con i suoi pensieri?

Secondo me è qualcosa di molto simile a un urlo. Io credo che lui allo specchio sia molto triste, insoddisfatto, è innamorato di se stesso ma si ama molto poco. Me lo immagino triste, seduto su un divano, che tenta di leggere il più possibile per non doversi chiedere chi sia davvero.

In questa terza stagione lo saluti e non sarai più tu Sarratore sullo schermo. Che sensazioni vivi rispetto a questo?

Sono molto curioso di vedere chi lo farà, dall'estetica alla resa del personaggio. È anche giusto che io lo abbandoni, non solo per ragioni anagrafiche, ma per mettere dei punti alle cose. Quello che mi resta è un po' di inquietudine, perché questo personaggio aleggia inevitabilmente anche nella mia vita. Quando ti rivedi in dinamiche di comportamento così negative, sei messo davanti alla necessità di trovare il tuo centro e tracciare una linea tra quello che sei tu e quello che è lui. Ma lo scambio è inevitabile e sicuramente lui mi ha dato tanto, anche solo per avermi fatto capire come non dovevo essere in determinate circostanze. Spero di non avergli fatto torto.

Questo è il primo personaggio della tua carriera e forse uno dei più pesanti. Temi di poter rimanere ingabbiato nei panni di Sarratore?

Onestamente no. Credo molto nel cambiamento personale, una legge durissima alla quale sto iniziando a piegarmi, so di non essere lo stesso di quattro anni fa. Più che altro sono curioso rispetto al modo in cui riuscirò a cambiare gioco e immagine. Mi auguro sia tramite l'ironia, che è forse il vero limite di Nino, un personaggio che non solo è poco autoironico, ma non è particolarmente simpatico. Mentre io credo di esserlo un po' quando mi lascio andare. Forse è proprio così che riuscirò ad emergere dalle acque stagnanti di Nino Sarratore.

Rosaria Langillotto, che interpreta Gigliola, ci ha raccontato che per lavorare all'Amica Geniale ci hanno detto che ogni personaggio è stato accompagnato da una canzone simbolo. Quale è stata la tua?

Le canzoni che ho ascoltato io sono state principalmente per me e non per Nino. Nella prima stagione ascoltavo sempre "Black Betty", perché mi gasava e mi permetteva di scacciare un po' di pressione. Nella seconda stagione, che è sintetizzabile nei due episodi di Ischia diretti da Alice Rorwacher, ricordo che ascoltavo molto Besame Mucho, che mi faceva entrare in questa situazione di rapporto estivo e primo, forse unico, amore autentico di Nino. Nella terza è stato fondamentale, invece, ascoltare La Leva Calcistica del '68 di De Gregori, che era sempre una sorta di appuntamento con lui. Quando sentivo di avere bisogno di contattarlo, con questo canzone avevo l'impressione di vedere me e lui che si guardano.

Tre registi differenti, da Costanzo a Rohrwacher, quest'anno Daniele Luchetti. C'è stata continuità, oppure è stato traumatico?

La continuità è percepita, ma sono tre regie completamente diverse. Con Saverio Costanzo pesava la figura idealizzata del primo regista in assoluto di cinema per me, gli ho voluto tanto bene e l'ho stimato tantissimo come artista. Con Alice è stata una magia, quei due mesi tra Ischia e Gaeta raccontando l'estate del secondo libro sono stati un'esperienza che ci ha estrapolati dallo spazio e dal tempo, in una bolla. Con Daniele il lavoro è stato ancora diverso, perché lì ho visto il maestro, l'insegnante. Tecnicamente è preparatissimo ed è stato importante per i trucchi del mestiere. Inoltre ci ha raccontato il contesto storico, spiegandoci gli anni Settanta dal suo punto di vista, il clima che si respirava, le divisioni politiche che al tempo significavano violenza, dissenso totale, diverso da quello di oggi. Inoltre penso lui si sia reso conto del mio accenno timido all'interesse per i codici della regia.

Sei un attore, ma anche uno studente di medicina. Due percorsi che apparentemente si annullano, ma una congiunzione deve esserci. Cosa li lega?

È una cosa sulla quale ho riflettuto molto, che è stata molto presente dentro me negli ultimi anni. Scelsi medicina per il bisogno di conciliare una parte di me creativa e umanistica con un'attrazione quasi feticistica per la scienza e il metodo. Io credo che paradossalmente la medicina e l'arte in generale siano molto simili nel coniugare la necessità di interazione, associata a un metodo e un esercizio costante. Va detto che per me medicina è ferma lì, non do esami da circa un anno e mi sto concentrando di più sull'ambito creativo, è un mondo che continua a interessarmi tantissimo e rimane lì, ma ho deciso di superare la mia scissione interna con una scelta.

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