“La regina Carlotta”, lo spin off di Bridgerton in uscita il 4 maggio su Netflix, è davvero un gioiellino. Ode a Shonda Rhimes che più di ogni altra sceneggiatrice e produttrice contemporanea non si nasconde dietro la patina dello snobismo e racconta tutto quello che visceralmente muove il mondo: l’amore, il potere, gli interessi, la paura, i segreti. A partire da queste fondamenta, ancora una volta, è riuscita a creare un prodotto che, nonostante le basse aspettative e i pregiudizi da cui era preceduto, ha superato in termini di efficacia e di impatto l’originale. Tornano personaggi amati sin dalle prime stagioni di Bridgerton, i cui trascorsi sono raccontati sin dagli albori.
La storia è quella della regina Carlotta ispirata alla vera Carlotta Meclemburgo-Strelitz. Già nella serie di cui i fan attendono con ansia la terza stagione, con il volto di Golda Rosheuvel, è raffigurata come una sovrana altezzosa, ma dal cuore buono e compassionevole, agghindata con i suoi copricapi strambi, dai mille colori, eppure con un velo di malinconia ad intristirle lo sguardo. Durante il suo regno, durato più di 50 anni ha acquisito potere e ha rivoluzionato l’assetto della società inglese; sebbene nella serie tv il tutto sia ampiamente romanzato con l’introduzione di quello che viene chiamato “il grande esperimento”, con cui si racconta l’inclusione dei neri nella società nobiliare inglese, profondamente razzista, anche nei confronti della regina stessa e in questo processo è decisivo il ruolo di una lungimirante e giovane Lady Danbury (qui Arsema Thomas). Nelle prime stagioni di Bridgerton, come una meteora compare anche Re Giorgio III, sovrano d’Inghilterra, ma di lui poco si conosce, se non quello che l’autrice della saga vuole farci sapere, ovvero che lui c’è, ma è come se non ci fosse.
Cosa nasconde una regina ossessionata dagli amori di corte, dalla necessità di riconoscere un sentimento che sia vero, puro, nei sudditi chiamati a debuttare al suo cospetto? Nasconde una storia insospettabile, innestata d’amore e di tenerezza, una storia che sorprenderà chi la guarda pensando di trovarsi di fronte all’ennesimo racconto melenso e tutto uguale, scoprendo poi che non è così.
A volte i segreti inconfessabili sono anche quelli che alimentano un legame, quelli che lo fortificano e lo rendono inossidabile, e quella tra Carlotta e Giorgio è l’evoluzione di un rapporto che nasce sotto il peso di un macigno. Quello per cui un futuro sovrano deve tenere a bada le sue crisi psicotiche per poter governare, deve necessariamente fare figli per dare seguito alla sua stirpe e in questo susseguirsi di doveri finisce col perdere il contatto con sé stesso, costringendo la sua mente a cercarlo altrove.
Tutto questo, però, Carlotta lo scoprirà a sue spese, portata a forza dal fratello dalla Germania all’Inghilterra per compiere un dovere più politico che altro. Tenta più volte di andar via, dopo aver provato la solitudine della prima notte di nozze e della luna di miele, diverse da come le aveva immaginate. Ma alla fine resta e diventa la Regina.
Il piglio di India Amarteifio, nel ruolo della giovane Carlotta, lo sguardo languido di Corey Mylchreest che dà il volto a George, calzano perfettamente con il racconto in cui la malattia mentale viene affrontata con timore, disprezzo, dalla medicina stessa, e con compassione, dedizione e dolcezza da chi armato d’amore, è in grado di superare montagne insormontabili. In un andirivieni tra passato e presente, in cui si colgono gli effetti della solitudine sulla vita della regina Carlotta, circondata da dame di corte, seguita dal suo fedele Brimsley, la sovrana gravita attorno ai suoi 13 figli i quali le contesteranno di non essere mai stata una vera madre, dedita principalmente al regno e al suo re.
Quello stesso re che non avrebbe voluto sposare, ma di cui si innamora al punto da pretenderne la presenza, pur sapendo che sarà una sfida quotidiana e sfibrante.
L’amore irrompe, sconvolgendo tutti i piani e le etichette: “Litiga con me, litiga per me” urla la 17enne Carlotta che risuona come quel “Scegli me, ama me” di meredithiana memoria, con cui Meredith Grey chiede a Derek Sheperd di prenderla per mano e amarla per il resto della vita. Allo stesso modo Carlotta chiede a Giorgio di non escluderla dal suo dolore, di non tenerla lontana, di accoglierla e di fidarsi, di abbandonarsi a qualcuno che non vede in lui un sovrano, ma un uomo, un uomo che ha bisogno di aiuto, ma che lei riesce ad amare con tutta sé stessa. Perché l’amore, signori, è anche questo: è esserci, è tendere la mano, è dare speranza, è la comunione e la condivisione di un qualcosa di ineffabile e segreto che, sottilmente, unisce due anime.
La storia di Carlotta e di Giorgio, sebbene sia finzione, lascia credere che sì, un amore del genere, un amore in cui ci si dà senza annullarsi, ma affermando sé stessi, pur proteggendo l’altro, è un amore ancora possibile, un sentimento nobile che nel silenzio di un enorme palazzo reale si consuma e si alimenta, un amore che si riconosce nascondendosi sotto le doghe pesanti di un letto a baldacchino, che si rivede giovane, anche quando gli anni passano. Perché come diceva Il drammaturgo inglese per eccellenza “amore non è amore se muta quando scopre un mutamento”, e nella serie scritta e ideata da Shonda Rhimes si racconta anche questo: non c’amore più puro di quello che ci conquista e che, nonostante il tempo passi, si rinnova della sua prima essenza.