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La modella assassina su Crime + Investigation, come perdersi nella verità di Rosa Della Corte

Attraverso il racconto della docuserie “La modella assassina” si entra nel profondo della vicenda di Rosa Della Corte. Una storia di cronaca nera su cui la giustizia ha già fatto il suo corso, che è tuttavia in netta contrapposizione con quanto racconta la protagonista di questa storia. Lo spettatore, trascinato in questo vortice, non sa a quale verità affidarsi.
A cura di Andrea Parrella
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La verità è un punto di vista, poche storie come quella di Rosa Della Corte confermano questo postulato. La vicenda della "mantide di Casandrino" è di quelle allergiche al concetto di indifferenza. Non solo per il fatto di cronaca in sé, con un omicidio cruento e dai tratti per certi versi ancora non chiariti a vent'anni di distanza, quanto per l'ostinata inconciliabilità tra quanto emerso dalle sentenze del processo e ciò che la colpevole a distanza di oltre vent'anni continua a dichiarare.

Il documentario "La modella assassina", prodotto da Deepinto (Crime+Investigation, 26 e 27 luglio ore 22.50), si intrufola esattamente in queste pieghe per raccontare un caso di cronaca che ha dominato le prime pagine dei giornali a inizio anni Duemila. La protagonista è, appunto, Rosa Della Corte, una ragazza allora diciottenne che viene accusata, quindi condannata, per l'omicidio del fidanzato, Salvatore Pollasto. Il delitto, stando alle carte processuali, si consuma in auto, mentre i due stanno avendo un rapporto sessuale interrotto da una discussione, che finisce con l'accoltellamento di Pollasto, lasciato poi in auto.

Una verità che resta, appunto, in conflitto con quanto Rosa Della Corte racconta da vent'anni e ribadisce ancora oggi, protagonista di questa docu-serie in cui si racconta per la prima volta a distanza di tempo. "Non ho ucciso Salvatore Pollasto", dice con gli occhi pieni di lacrime che non scendono mai, restano in equilibrio precario, a raccontare un pianto latente e in potenza. Ha una dialettica precisa, Della Corte, una superba presenza scenica che la rende un eccellente personaggio televisivo. Il suo è un effetto conturbante, quasi manipolatorio, su chi la ascolta e sullo spettatore.

Sebbene la docuserie non sia indulgente nei suoi confronti – non si pone espressamente l'obiettivo di riabilitarla, come hanno raccontato gli autori in un'intervista – il risultato è quello di essere risucchiati in una serie di eventi ai quali non si riesce a dare un colore netto, nonostante i giudici si siano espressi e la condanna sia stata anche scontata. Un vortice in cui si fatica a non credere a quegli occhi ricolmi di lacrime. C'è un'immagine del documentario, la vedete in apertura, in questo senso molto significativa: si vede Della Corte guardare l'inquadratura con alle spalle diversi specchi che riflettono la donna da più angolazioni, generando un'immagine caleidoscopica che confonde e disorienta. L'effetto che fa Rosa Della Corte.

Vedere e ascoltare in viva voce la protagonista di una vicenda di questo tipo, oltre che potente dal punto di vista televisivo, è anche un'occasione per domandarsi delle possibilità concrete di ricostruzione di una vita dopo la fine della pena per una persona che, molto presumibilmente, finirà per trascorrere circa 30 anni dietro le sbarre. Ripartire comporta necessariamente illudersi di poterlo fare? La vita continuerà ad essere una gabbia ideale anche una volta fuori da quella materiale? Sono domande che sorgono spontanee e che purtroppo, per forza di cose, restano inevase. La risposta non c'è, in Rosa come in chi guarda.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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