La Mala, Banditi a Milano: su Sky la perfetta docu-serie a colpi di mitra con Vallanzasca
Zang Tumb Tumb. La Mala – Banditi a Milano è una docu-serie velocissima, assurda, epilettica che più che raccontare, letteralmente divora quindici anni di storia criminale in cinque episodi da cardiopalma. Una lontanissima concatenazione di vicende, quella che dal 1970 al 1984 ha insanguinato il capoluogo meneghino rendendolo teatro di regolamenti di conti, bische, rapimenti, rapine in banca messi in piedi da bande rivali, poi alleate, infine vicendevoli traditrici. I loro componenti parlano oggi per la prima volta a distanza di quasi un quarantennio come se fossero ancora immersi in quella realtà delinquente e intrisa di cocaina, eccessi, picchi di follia omicida ma anche scanzonata (il cucciolo di leone regalato alla figlia di Bettino Craxi, un cadeau come un altro), donne che oggi spergiurano di non essersi mai accorte di nulla. “Noi eravamo amici e ci piaceva fare le rapine alle banche”, un’estrema sintesi da manuale di questo romanzo criminale che finalmente è stato scritto, in modo magistrale, dagli autori Paolo Bernardelli, Salvatore Garzillo e Chiara Battistini. Dalle 19.10 del 17 aprile, su Sky e Now risorgono i banditi della Mala di Milano.
Parliamoci chiaro: i documentari, tutti i documentari, sono strutturalmente composti da anziani seduti che parlano di un tempo lontano, di quando erano giovani, in forma e hanno vissuto vicende a loro dire incredibili ma che nessuno ricorda più. Il tutto, inframmezzato da materiali d’archivio sbiaditi e in bassa risoluzione quando non in bianco e nero. Praticamente, è come stare ad ascoltare i nonni che sproloquiano sulla Grande Guerra con foto d’epoca da sfogliare fingendo massima attenzione. E allora perché questo genere funziona? Al netto del fascino sottile del true crime, quello morboso e irresistibilmente agghiacciante nei torbidi contenuti, qui a fare la differenza è la storia. In La Mala – Banditi a Milano, la regia perfetta e convulsa di Bernardelli e Battistini, incalza lo spettatore dando voce, per la prima volta, a “nonni” del calibro di Renato Vallanzasca, Tino Stefanini e Osvaldo Monopoli, ultimi superstiti della Banda della Comasina. “Nonni”, sì, ma nonni compiaciutissimi di aver sparato e seminato panico e terrore a Milano nei loro “anni d’oro”. Del resto, come hanno avuto modo di dire ai magistrati al momento delle catture (al plurale, la maggior parte di loro è riuscita a evadere via via più rocambolescamente): “Voi le emozioni che viviamo noi in una sola giornata, non potreste nemmeno sognarvele in una vita intera”. Frase arrogante, certo. Ma la stampa era la prima a dargli ragione.
Titoli sensazionalistici si sprecavano sui maggiori quotidiani, mentre alle forze dell’ordine veniva dato spazio solo nel caso in cui ci lasciassero le penne. Gli stessi delinquenti della Mala, non certo persone “modeste” nel celebrare la propria malvagia epica personale, raccontano oggi di aver letto articoli con megalomani fantasie rispetto ai fatti accaduti. Tra i giornalisti, c’è da dirlo, c’è chi si è lasciato prendere la mano dipingendo un “Far West” milanese in cui i protagonisti erano “il bel René” Renato Vallanzasca, il “Tebano” Angelo Epaminonda e il “faccia d’angelo” Francis Turatello. E così, compiaciuti dal proprio stesso successo, questi criminali seguitavano le loro bisbocce delinquenziali, pur divertendosi: in quella che venne definita “la rapina del secolo di via Osoppo”, si presentarono armati di mitra, certo, ma nessuno sparò: la banda si limitò a simulare con la voce il tuonare dei proiettili.
Renato Vallanzasca, poi, è stato il primo e unico criminale mediatico a rilasciare interviste dopo i sanguinosi fatti di cui si era appena macchiato. Com’è possibile? Un buon mix di ego e pressanti richieste da parte della stampa, supponiamo. Esemplare, nel senso più negativo immaginabile, l’intervista tv a Emanuela Trapani, la figlia diciassettenne di un grande e danaroso imprenditore appena rilasciata dopo 40 giorni di prigionia nelle mani della Mala. Le domande del giornalista? Eccole: “Ha passato più di un mese con Renato Vallanzasca. Può descriverci che tipo è? Fisicamente, lo considera un bell’uomo?”. Dritti al punto che manco Novella 2000.
Fa specie anche notare come i membri della banda non agissero spinti da qualche rivendicazione politica o sociale: erano “semplicemente” ragazzi che volevano diventare ricchi nel più breve tempo possibile per potersi permette “abiti su misura, quelli che costano” e da lì, perché no, i nightclub popolati dalla gente che conta fino, ma sì, ai casinò. Lo scopo? Divertirsi come se non ci fosse un domani. Figuriamoci un codice penale. Codice penale che, invece, esisteva eccome e che è intervenuto con la falce a fermare la folle corsa di questi scriteriati. In rappresentanza della giustizia, nel documentario intervengono il capo della Squadra Mobile Achille Serra, i giudici Alberto Nobili (attuale capo della procura Antiterrorismo), Giuliano Turone (l’uomo che scoprì la P2), Piercamillo Davigo (il protagonista della stagione di Mani Pulite) e investigatori come Antonio Scorpaniti (una vita intera alla questura milanese). I veri eroi che hanno posto fine a queste sanguinose “ragazzate” che, nonostante il racconto sornione e compiaciuto di chi le ha commesse, hanno portato alla morte di decine di persone a cranio, seminando terrore e sangue nella “Milano da bere”.
Un’esperienza immersiva in una città che non esiste più, una città che su scala nazionale per quei quindici anni portava alto l’epitaffio che si cita anche nella serie: “A quei tempi, se dicevi di volerti trasferire a Milano, ti ricoveravano in psichiatria”. La docu-serie La Mala trasporta nel Sottosopra del capoluogo meneghino, un posto orribile in cui vivere ma di cui nessuno riusciva a far a meno di parlare, quasi glorificandone le atroci gesta, mentre i telegiornali raccontavano “le notti piccole” della grande città schiava del più feroce degli hobby: il crimine folle, imprevedibile e senza rimpianti. Una storia così incredibile che non poteva rimanere sepolta nella nera d’antan. Su Sky e Now, da Pasqua, risorge l’incubo allucinato della Mala. Lasciate perdere i serial killer cannibali che infestano Netflix, qui c’è la storia torbidamente made in Italy che i vostri nonni hanno preferito non raccontare. Da vedere.