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Opinioni

La legge di Lidia Poët 2, quando i diritti delle donne diventano il motore di un racconto retrò

Dal 30 ottobre è arrivata su Netflix la seconda stagione de La Legge di Lidia Poët, la serie diretta da Matteo Rovere con Matilda De Angelis. Il fulcro dell’intero racconto è la libertà delle donne, la possibilità di avere gli stessi diritti degli uomini, tra un caso e l’altro da risolvere.
A cura di Ilaria Costabile
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Cosa significa essere femministe? Facendo un passo indietro di qualche secolo, lo si potrebbe chiedere a Mary Wollstonecraft, la prima vera suffragetta, colei che gettò le basi di quello che sarebbe poi diventato un vero e proprio movimento politico a favore delle donne e della loro indipendenza. Un ideale che Lidia Poët, l'avvocatessa più famosa di Netflix interpretata da Matilda De Angelis, ha sposato in pieno. Dal 30 ottobre in piattaforma c'è la seconda stagione della serie che ha raccontato, romanzandola, la storia della prima donna avvocato d'Italia, e stavolta la spinta verso l'approvazione di quei diritti fondamentali che, ancora oggi, si fa fatica a riconoscere è più vivida che mai.

Nei sei episodi che compongono la serie, Lidia si trova a dover ribattere in maniera ancora più forte, il  desiderio di veder riconosciuta la sua capacità di intervento e di opinione, non soltanto per quanto riguarda il diritto, ma anche per tutto ciò che concerne la vita pubblica, sociale, alla quale le donne prendono continuamente parte. Se dovessimo individuare un perno di questa seconda stagione sarebbe questo, la consapevolezza che battersi per qualcosa di importante, a volte, può richiedere anche un sacrificio personale. Indomita, caparbia e determinata, l'avvocata Poët anche nei casi che è chiamata a risolvere dimostrerà di avere un ingegno e un intuito senza eguali che le consentiranno, con l'appoggio di chi le sta attorno, di far vincere la giustizia laddove sia stata violata. L'aspetto altrettanto interessante che emerge episodio dopo episodio, è la completa fiducia che gli uomini che fanno parte della sua cerchia più ristretta ripongono in lei. La sostengono, accolgono le sue richieste e non cercano, in nessun modo, di ostacolare la sua voglia di mettersi in gioco, talvolta rischiando la sua stessa vita. A differenza di chi, anche dalle alte cariche, la guarda dall'alto in basso.

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La vicinanza di suo fratello Enrico (Pier Luigi Pasino), che in questa seconda stagione è decisamente più centrale, è importante affinché Lidia non riponga il Codice al chiodo e continui ad esercitare, seppur non ufficialmente, il mestiere di avvocata, avendo scelto consapevolmente di non partire per l'America, dove la legge non le avrebbe impedito di mettere in pratica quello che aveva studiato. Ma la sua missione, ormai è chiara: le donne devono essere in grado di poter badare a loro stesse, di poter accedere a quei privilegi che, nel 1884, erano rivolti solo agli uomini. La politica, quindi, diventa oggetto di interesse della giurista, perché la sua voce, le sue idee, possano essere ascoltate e riconosciute da quelle donne che, magari, non hanno mai avuto gli strumenti per pensare di poter avere una vita diversa. E l'amore, in tutto questo marasma di casi, ideali e proposte di legge, che posto ha? Un posto importante, perché una donna appassionata come Lidia Poët, non può non amare.

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Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), suo cognato, aleggia ancora tra i suoi pensieri. I ricordi dei mesi passati insieme sono avvolti dalla nostalgia perché l'idea del matrimonio è un qualcosa che Lidia rifugge con tutta se stessa, non perché non creda nel sentimento che lega due persone, ma perché teme di perdere la sua libertà. Nonostante il cuore spezzato e l'attrazione che palpita ad ogni incontro, i due continuano a lavorare insieme, spalla insostituibile l'uno dell'altra. Barberis, da bravo giornalista indaga, cerca di scavare a fondo, scoprire quello che ancora le persone non sanno e una mente come quella di Lidia, così analitica e lucida,  spesso la chiave che gli consente di arrivare a fondo. Ed è lui che, in effetti, sembra soffrire di più per questa separazione così netta, questo strappo.

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Ad insinuarsi in questo rapporto chiuso, ma non finito, arriva il procuratore Pier Luigi Fourneau (Gianmarco Saurino) che, col suo fare austero e anche un po' tenebroso, attirerà l'attenzione dell'avvocatessa Poët. Chissà che non sia proprio l'idea di indefinitezza ad attirarla.

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Tra finzione e qualche sprazzo di realtà, come il professor Cesare Lombroso e il presidente del Consiglio Agostino Depretis, che compaiono in alcuni episodi, la serie sembra aver fatto un salto in avanti, portando in scena tematiche che ancora oggi sono più calde che mai. Ancora oggi, nel 2024, sentiamo di disuguaglianze salariali, si parla di discriminazioni, umiliazioni, molestie, il dislivello si è appianato, ma non del tutto. "Vorrei ricordarvi che è solo una donna" dice uno dei politici nella serie scatenando la risata di coloro che lo circondano, quel ‘solo' che sminusice il lavoro di Lidia Poët e la sua idea di entrare in politica, serpeggia ancora ed è compito di ogni donna provare ad estirparlo come può.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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