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Opinioni

In morte di Black Mirror: la serie ha definitivamente rinnegato se stessa

La sesta stagione di Black Mirror conferma le più tetre aspettative: la serie ha rinnegato se stessa e ora vaga invano alla ricerca di un’identità. Un tempo, la maggior parte degli episodi generava choc e influenzava l’immaginario televisivo (come anche quello cinematografico). Oggi, al massimo, queste cinque nuove puntate torneranno buone per i meme.
A cura di Grazia Sambruna
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Le aspettative non erano altissime, ma qualcuno ancora osava sperarci. Black Mirror 6 è approdata su Netflix giovedì 15 giugno con cinque nuovi episodi. Prima di imbastire il purtroppo doveroso necrologio, bisogna dare a Cesare. Anzi, allo showrunner Charlie Brooker. Di certo chi oggi ha 20 anni, non ha potuto vivere direttamente il dirompente fenomeno di massa che questa serie antologica è stata. La prima stagione, arrivata in Italia nel 2012, ebbe in tutto il mondo una potenza deflagrante. Grazie anche all’episodio di apertura, ancora oggi storia della tv.

Black Mirror raccontava di un futuro prossimo distopico in cui la tecnologia ci avrebbe reso mostri. O schiavi. O mostri, schiavi e terribilmente soli, alienati. Oggi questo “futuro prossimo” è arrivato e niente di quanto predetto dalla serie si è verificato nella realtà. Dunque, la narrazione ha dovuto cercare altre vie per evitare di sembrare un boomer che si lamenta dei giovani perché stanno sempre attaccati al cellulare e non escono a toccare l’erba. La strada intrapresa per farlo, in questa sesta stagione, è spesso quella della commedia grottesca. Funziona? Poco e male. Quel che è certo è che, purtroppo, Black Mirror è passata da serie imprescindibile a un titolo Netflix qualunque, senza peso specifico né identità. Analisi di un tracollo annunciato.

Lo sgomento. La maggior parte delle puntate arrivavano a generare nello spettatore un senso di ansia e choc prepotente. Grazie a finali inaspettati, brutali e chirurgici nel non lasciare alcuna speranza. “The future is bright” recitava sarcasticamente il claim della serie, ora abbandonato. Già Black Mirror 5, uscita nel 2019, era stata una delusione piuttosto cocente. Per cercare di risalire la china, Black Mirror sceglie, oggi, di rinunciare alla propria natura: la tecnologia c’è ancora, ma non è protagonista di tutte le puntate. Anzi, la migliore della covata, quella di maggior intrattenimento, è forse la quinta, Demon 79, ambientata a fine anni Settanta in un’atmosfera che ci si aspetterebbe da un episodio di Good Omens. Il tentativo di spiazzare lo spettatore è affidato, invece, all’episodio tre, Beyond the Sea, che vede protagonisti Aaron Paul e Josh Hartnett nel ruolo di due astronauti e delle loro repliche. Questa, di certo, la puntata più brutale. Che si rivela, però, poco più di un blando solletico, ripensando a episodi capolavoro dei bei tempi andati. Su tutti, White Christmas con Jon Hamm.

Primo episodio: Joan is awful
Primo episodio: Joan is awful

A rompere il ghiaccio di questa sesta stagione è Joan is Awful. E lo fa con premesse interessanti: la protagonista, Joan, si imbatte in una serie su se stessa che continua in presa diretta raccontando ogni particolare delle sue giornate e romanzandolo per farla risultare, appunto, “terribile”. Un bel problema, per quanto a interpretarla sia Salma Hayek. Ci si potrebbe aspettare una spietata critica sociale, invece, di minuto in minuto, i toni virano verso la commedia sempre più grottesca. A fare da sfondo, un pistolotto sull’identità ma è difficile farci caso. Le situazioni sempre più esagerate e forse anche “memabili” che si innescano rubano la scena a ogni possibilità di riflessione. E forse hanno anche lo scopo di distrarre da un fatto purtroppo importante: la storia non sta in piedi. Sarebbe semplicissimo per Joan uscire da quella situazione in qualsiasi momento e senza cimentarsi in rocambolesche avventure che, a ben guardare, stanno lì per una sola ragione, la peggiore possibile: altrimenti la trama non va avanti. No spoiler, ma fateci caso.

Procedendo in ordine di gradimento, eccoci al secondo episodio, Loch Henry, che mostra le estreme conseguenze della passione che tutto il mondo ha sviluppato per le serie true crime. Se qui siamo al fondo del barile, questa puntata potrebbe appartenere davvero a qualunque serie tv, si sprofonda nell’abisso con Mazey Day, episodio quattro. Alcune scene e ambientazioni potrebbero ricordarvi la nostra Sanpa, ma la risoluzione è talmente assurda e la cgi così pressapochista che forse sarebbe meglio saltare l’episodio a piè pari. Non può essere successo davvero. Invece, purtroppo, c’è. È stato pensato, scritto, approvato e girato. Fa male.

Black Mirror ha sempre fatto male. Stavolta, però, lo fa per futili motivi: dopo aver rinnegato se stessa, non riesce a trovare una strada dignitosa su cui proseguire. Ne sceglie molteplici, dunque, diventando un caotico carrozzone dove può accadere di tutto, basta che non sia davvero interessante. Se siete stati fan della serie, risparmiatevi questa delusione. Se non l’avete mai seguita, correte a recuperare almeno la prima stagione. La sesta è un requiem, come già lo era stata la quinta (eccezion fatta per Striking Vipers, episodio da rivalutare). Lo specchio si è rotto. Ed è fatica inutile ostinarsi a cercare di cogliere ancora qualche riflesso nei cocci rimasti sparsi sul fondo del barile. The past was bright.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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