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In Italia l’animazione continua a essere un’eccezione

L’associazione italiana dei produttori di animazione ha denunciato la mancanza di interesse del Governo nell’investire e nel sostenere l’operato dei suoi appartenenti. In realtà il problema del settore in Italia è più ampio e riguarda sia addetti ai lavori che spettatori.
A cura di Gianmaria Tammaro
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Il 21 marzo Cartoon Italia, l’associazione nazionale dei produttori d’animazione, ha diffuso un comunicato stampa in cui ha denunciato la mancanza di volontà da parte del governo di sostenere il lavoro dei suoi appartenenti. Per essere più specifici: nonostante il parere favorevole del Ministro della Cultura e della Commissione Cultura della Camera, il Consiglio dei Ministri ha drasticamente ridotto la possibilità di creare sotto quote utili a incentivare investimenti privati nell’animazione italiana, di produttori stranieri e/o di piattaforme streaming.

Il pericolo, si legge sempre nel comunicato stampa dove sono stati riportati anche dei virgoletti di Iginio Straffi di Rainbow, Andrea Occhipinti di Lucky Red e Maria Carolina Terzi, presidente di Cartoon Italia e co-fondatrice di Mad Entertainment, è quello di privare la nostra industria di un importante sostegno, di avere un’offerta sempre più estero-centrica (se ci sono poche risorse interne, la maggior parte dei titoli arriverà dagli altri paesi) e di dare alla Rai un peso quasi monopolistico all’interno del mercato (a oggi, è infatti l’unica grande realtà italiana con un mandato chiaro di investire nell’animazione attraverso Rai Kids).

Questo è il quadro generale, e non è per nulla roseo. Tra le tantissime valutazione e analisi che sono state fatte in queste ore, molte puntano il dito contro la presunta volontà del governo di favorire i grandi gruppi stranieri, come le piattaforme streaming, e di tutelare realtà italiane, come per esempio Mediaset, nel non coinvolgerle direttamente nel finanziamento di progetti animati. Le considerazioni che si possono fare, a questo punto, sono due. E sono quasi contrastanti. Partiamo dalla prima, la più ovvia.

Perché l'Italia è indietro rispetto agli altri paesi sull'animazione?

Il Consiglio dei Ministri ha ignorato i suggerimenti del Ministero della Cultura e della Commissione del Parlamento che sono, di fatto, i soggetti più informati sulla questione. E questo la dice già lunga sulla bontà di una simile decisione. Soprattutto, però, il problema è di natura economica-industriale, perché ancora una volta viene bellamente ignorato quello che è il potenziale effettivo dell’industria animata. E non solo dal punto di vista delle competenze artistiche, ma soprattutto dal punto di vista delle competenze tecniche. Dare all’animazione altri strumenti significa permettere a nuove professionalità di formarsi e di lavorare; significa cercare di costruire un nuovo polo, e significa pure riconoscere all’animazione la centralità che, in questi anni, in tutto il mondo, ha assunto e ottenuto.

È evidente che l’Italia è indietro rispetto ad altri paesi. Ed è altrettanto evidente che da noi l’animazione continua a essere un’eccezione, non una solida realtà. Lo dimostrano i tanti sforzi che, quasi giornalmente, produttori e società di produzione devono fare per riuscire a sviluppare i loro progetti e per avere un minimo di visibilità sul piano nazionale. Altrove, come in Francia, ci sono programmi e strutture volte unicamente ad affiancare l’animazione. Qui da noi no. I motivi sono molteplici: non c’è una percentuale abbastanza importante di titoli da tenere in considerazione; i film che sono usciti al cinema non sono andati granché bene (anche qui: ci sono diverse cause e diverse concause); le competenze ci sono, ma sono estremamente limitate – in quanto a numeri – e costose. Ci sono delle eccezioni, lo ripetiamo: Rainbow di Straffi, per esempio; ma pure Mad Entertainment, Movimenti Production, Studio Bozzetto, e così via.

E allora perché Zerocalcare su Netflix funziona?

Manca una visione di insieme, e anche questo è evidente. Non ce l’hanno i distributori e non ce l’hanno nemmeno i produttori. E quando vengono sviluppati progetti come le serie animate di Zerocalcare, tutte disponibili su Netflix, ci sembra sempre un piccolo miracolo. Non ha senso, però, normalizzare l’eccezionalità. E dunque sperare in un sostegno costante, normato, dallo Stato. Parliamo sempre di attività imprenditoriali, e portare una società a investire per la prescrizione della legge non è assolutamente una garanzia di qualità e di impegno – lo sappiamo benissimo, è già successo in passato. Arriviamo così alla seconda considerazione che possiamo fare: l’Italia deve darsi un sistema e deve muoversi insieme, come un corpo unico, al di là delle decisioni che vengono prese dall’esecutivo e dal legislatore.

Mediaset, in passato, ha investito su un progetto di animazione. Lo ricorderete tutti. Parliamo di Adrian, la serie evento (sigh) di Adriano Celentano. Ricordate anche com’è andata? Ricordate, soprattutto, l’epopea in termini di ascolti e di seguito? Da un punto di vista puramente imprenditoriale, ha senso, per ora, la scelta del Biscione di evitare altri progetti simili – Adrian è costato milioni di euro, non centinaia di migliaia di euro. La stessa Netflix, che ha finanziato attivamente i progetti di Zerocalcare, ha fatto una scelta basata sul merito, non sulla mera quantità.

Ciò di cui abbiamo bisogno, oggi, sono i buoni esempi. E per carità: ce ne sono già diversi, ma dato il loro numero ridotto restano quasi ininfluenti statisticamente. Mad Entertainment continua a lavorare; ora, con Lucky Red e partner internazionali, sta sviluppando il primo film diretto da Roberto Saviano, tratto dal suo omonimo fumetto, che è animato. Pochi giorni fa, tramite Variety, è stato diffuso il trailer del nuovo lungometraggio di Alessandro Rak. Ma poi, per il resto, è veramente difficile riconoscere una certa continuità nell’animazione italiana. E questo, attenzione, non vuol dire che la colpa è dei produttori o di chi, ogni giorno, si impegna per fare animazione. Vuol dire che il nostro paese, strutturalmente, non riesce a lavorare insieme. Con o senza sotto quote prescritte dalla legge.

Non funzionano i festival che dovrebbero favorire e dare visibilità ai progetti animati (pensiamo a realtà verticali come Lucca Comics and Games: anche lì, paradossalmente, l’animazione resta quasi un’eccezione). Non funziona la stampa di settore (che, di fatto, a parte poche testate specializzate, non esiste). E non funziona nemmeno la rete comunicativa che dovrebbe tenere sempre informato e rendere sempre partecipe il pubblico. La stessa Cartoon Italia, sui social, ha una presenza minima.

Continuiamo a guardare all’estero come a un grande esempio, ed è giusto: è fondamentale provare a trarre ispirazione da chi sta facendo meglio di noi. Ma non dobbiamo – di più, non possiamo – dimenticare quella che è la nostra storia e quello che è il nostro percorso. Il Consiglio dei Ministri ha indubbiamente sottovalutato la portata di una decisione favorevole per l’industria dell’animazione. Questo è un fatto. Ora bisogna ricominciare. Anzi, meglio: bisogna andare avanti. E sarà difficile e faticoso; probabilmente sarà anche dispendioso. Ma l’animazione merita innanzitutto il nostro impegno – come addetti ai lavori e come spettatori.

I progetti possono essere sia costruiti che raccontati in modo differente. Si può cercare subito un contatto con il pubblico. Si possono realizzare velocemente delle campagne marketing e comunicative per dare un ulteriore peso e un’ulteriore portata a idee e proposte. Servono numeri, insieme alla volontà. E per fare numeri, purtroppo, non basta l’approvazione del Consiglio dei Ministri.

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È nato a Napoli il 24 ottobre del 1991. Per qualche anno, è stato direttore della sezione CartooNA del COMICON. Ha curato le Masterclass Off per il Giffoni Film Festival. È stato consulente editoriale di Lucca Comics and Games. È giornalista pubblicista. Collabora con quotidiani e riviste, e si occupa principalmente di spettacoli e di cultura.
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