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Il caso DanDaDan, l’anime che su Netflix ha oscurato Dragon Ball Daima

Nemmeno la casa editrice che pubblica in Giappone il manga originale si aspettava questi numeri. E invece DanDaDan è diventato uno dei titoli anime più visti e seguiti del 2024. Cerchiamo di capire i motivi di questo successo che nessuno aveva visto arrivare.
A cura di Gianmaria Tammaro
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Nessuno se lo aspettava, nemmeno gli editor di Shōnen Jump+, la rivista digitale di Shūeisha, ma DanDaDan, anime tratto dall’omonimo manga di Yukinobu Tatsu, è stato uno dei grandi successi animati dello scorso anno. Ha raggiunto la cima delle classifiche delle piattaforme streaming che lo hanno distribuito ed è stato in grado di fidelizzare un pubblico molto ampio, fatto non solo di appassionati o di lettori del manga. È stato, per dirlo con una sola parola, trasversale. E lo è stato nonostante la concorrenza: più o meno nello stesso periodo, alla fine cioè del 2024, sono stati distribuiti anche il remake di Ranma ½ e la nuova serie di Dragon Ball, Dragon Ball Daima.

L’anime di DanDaDan è estremamente fedele al manga, e non è un caso se, più volte, intere scene sono state affiancate visivamente a singole vignette: la posizione dei corpi, il modo in cui stanno insieme e riempiono lo spazio; lo sguardo, le linee cinetiche, la pienezza delle figure e delle espressioni. Non è un’esagerazione dire che buona parte del suo successo deriva dall’intuizione di Tatsu e dalla storia che ha scritto (in Italia, il fumetto è pubblicato da J-POP). Ma ci sono stati anche altri elementi, alcuni assolutamente insospettabili, che gli hanno permesso di farsi largo tra gli spettatori e di raccogliere rapidamente un pubblico.

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La sigla di DanDanDan, tra i segreti del successo

Innanzitutto la sigla: Otonoke dei Creepy Nuts. Dopo la distribuzione del primo episodio, è stata ripresa, rimontata e utilizzata in reel su tutti i social, da Instagram a TikTok. Su Youtube, il video ufficiale di Crunchyroll ha raggiunto e superato 41 milioni di visualizzazioni. Per carità: un successo non si può costruire solo grazie a una canzone, ma è indubbio che la sua capacità di diffondersi a macchia d’olio attraverso i social ha aiutato moltissimo nel far conoscere al pubblico – a chi, soprattutto, non è solito guardare gli anime – DanDaDan. E poi, come dicevamo prima, c’è la storia. Che solo per certi versi rimane una storia di genere, con mostri, demoni e alieni. (La divisione per target ha senso solo fino a un certo punto: tutti guardano DanDaDan). In realtà, ed è questa probabilmente l’intuizione più interessante di Tatsu, rimane una storia di crescita, che parla di due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, che fanno amicizia a scuola, che imparano a conoscersi e che, nonostante tutto, si avvicinano sempre di più l’uno all’altra. Senza poi considerare lo stile del disegno: molto più morbido, curato, ricco rispetto ad altri anime; decisamente più moderno. E pulito, nel senso di netto e chiaro, ben definito. I corpi giocano con le loro forme e con la loro sensualità, e c’è un filo rosso di eccitata tensione che unisce i vari momenti che condividono i due protagonisti.

Una seconda stagione per DanDanDan

Altri anime non hanno né questa resa grafica né tantomeno questa forza narrativa. Sono storie già viste, già sentite, che o si rivolgono ai fan della primissima ora (come, appunto, il remake di Ranma ½) o che cercano di costruirsi un nuovo pubblico, magari tra i più giovani (come Dragon Ball Daima: pienissimo di riferimenti e citazioni, ma perfetto anche come punto d’accesso per chi, la storia originale, non l’ha mai letta né seguita). La prossima stagione di DanDaDan, che è già stata confermata, uscirà all’inizio della seconda metà di quest’anno. Segno che pure la produzione e la distribuzione vogliono provare ad approfittare il più possibile del pubblico che l’anime è stato in grado di raccogliere. DanDaDan è una serie che quasi naturalmente è riuscita a ritagliarsi il suo posto e il suo spazio: non è stata anticipata né da una grossa campagna mediatica né è stata al centro di particolari piani di marketing. Il primo episodio è stato costruito come un vero e proprio biglietto da visita: visto questo, il resto è praticamente in discesa, sulla stessa onda, altrettanto ricco e sfaccettato. Da un punto di vista produttivo, c’è stata l’intelligenza di ridistribuire le risorse: ci sono dei picchi facilmente identificabili sia nelle animazioni che nella cura della regia; ma sono picchi funzionali al resto del racconto.

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Si riconosce una linearità precisa nello stile: punti comuni che ritornano, che fanno da collante tra le varie parti della trama, che esaltano i personaggi, che li fanno brillare, e che soprattutto dimostrano un dinamismo reale, concreto, nelle transizioni. Insomma, non c’è un unico motivo per il successo di DanDaDan, e anche questo, se vogliamo, è un aspetto su cui riflettere. Forse i tempi in cui bastava avere alle proprie spalle un brand famoso per avere successo o comunque per attirare l’attenzione di un certo pubblico sono finiti. Forse, finalmente, è arrivato il momento di ragionare con la consapevolezza e, cosa ancora più importante, con la sensibilità degli spettatori. Gli anime, come dimostrano gli investimenti che stanno facendo Sony, che possiede la piattaforma Crunchyroll, e Netflix, non sono solo contenuti secondari. Vanno, al contrario, tenuti seriamente in considerazione. Così come va tenuta seriamente in considerazione tutta l’animazione. Perché al contrario delle serie e dei film in live action ha la possibilità di parlare a un pubblico più vasto, attirato visceralmente dai disegni

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