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Opinioni

Everything Now, la recensione: un racconto dei disturbi alimentari all’ombra di Sex Education

Su Netflix è arrivata Everything Now, una serie dal grande potenziale che ha come fulcro il racconto dei disturbi alimentari di Mia, una 16enne reduce da un ricovero in un centro di riabilitazione. È però evidente che, nel voler raccontare più tematiche insieme, si rischia l’effetto ‘remake’ di una serie amatissima come Sex Education.
A cura di Ilaria Costabile
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Dal 5 ottobre è arrivata su Netflix “Everything Now”, una serie finora passata in sordina, ma che in realtà, qualcosa da raccontare ce l'ha sia per gli argomenti trattati che per le modalità con cui vengono affrontati.

Nonostante sia stata presentata come una nuova Sex Education e sebbene in qualche maniera sembra ricordarla, la nuova serie inglese può essere per certi aspetti più profonda di quanto non lo sia stata l’altra creatura Netflix nelle quattro stagioni di cui si compone.

In Everything Now il punto di vista del racconto è quello di Mia, la 16enne protagonista degli otto episodi, reduce da un ricovero di sette mesi in un centro dedicato ai disturbi alimentari. È proprio questo elemento che fa da sfondo ad ogni puntata, ma soprattutto che filtra l’intera narrazione. Un elemento nuovo, che prima d’ora mai era stato affrontato in questi termini e che evidenzia uno di quei problemi di cui, sempre più spesso, si sente parlare e che appartiene tanto alle passate quanto alle nuove generazioni, che si trovano a fare i conti con l’incombenza di dover comprendere da dove nascano e cosa siano, davvero, i problemi che nascono dal rapporto con il cibo.

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Mia è anoressica e non basterà un percorso di riabilitazione di sette mesi per liberarsi di quel demone che è cresciuto dentro di lei e che occupa tutto il suo spazio vitale. Non basterà l’attenzione dei genitori, degli amici, dei medici perché lei accantoni le sue paure, le angosce, le stesse che l’avevano fatta cadere in un baratro. Ma allo stesso tempo sarà proprio la presenza delle persone a lei più vicine che le servirà da paracadute nel momento in cui rischia nuovamente di precipitare.

Il titolo della serie, Everything Now, ossia Tutto adesso, è indicativo ed è il desiderio che spinge Mia a rimettere insieme i pezzi di una vita in frantumi provando a ricostruirla nel miglior modo possibile. Il ritorno a scuola, in un contesto che prima le era così familiare e che, ora, sembra essere completamente nuovo, la mette nella condizione di doversi misurare con gli altri, di dover recuperare il tempo perduto, le esperienze non vissute.

L’amore, il sesso, la droga, una serata in discoteca, una sbronza, tutto è per Mia linfa vitale e lei, come una spugna, assorbe quello che può, lasciando che ogni cosa la attraversi, fino quasi a strabordare. Tutto, sempre, senza mai abbandonare quello che ha vissuto, che ritorna nei flashback dell’ospedale, nelle fasi suo percorso, in quella sfida continua e maniacale con se stessa.

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L’ombra del disturbo alimentare si insinua in ogni cosa, ogni pensiero, ogni nuovo passo verso una vita diversa. Bere tre shot diventa un dramma, non è dato sapere l’apporto calorico, non sa cosa potrà succederle; fare sport diventa difficile perché il suo corpo potrebbe non sostenere l’attività fisica, andare in una spa è terribile, perché potrebbero toccare quel corpo che lei ha avuto l’istinto di cancellare; ogni mattina la colazione con lo sguardo preoccupato dei suoi genitori, in silenzio, in attesa che lei mangi, diventa angosciante. Nonostante ciò, però, Mia va avanti e si aggrappa potentemente a quello che ha per non cadere di nuovo.

Molte dinamiche, collaterali alla storie della protagonista, non sono affatto nuove nella narrazione dei teen drama, anzi, c'è forse la volontà di ricalcare alcuni filoni che hanno decretato il successo di altri prodotti comparsi sulla piattaforma. Una sua potenza, però, questa serie ce l'ha e sta nel raccontare una tematica così delicata, leggendo anche il punto di vista di chi l’ha vissuta per osmosi, e facendo emergere il lato per cui tutti proverebbero vergogna, ovvero la rabbia nei confronti di una persona malata, che con la sua patologia finisce per oscurare i bisogni degli altri, la paura di far sempre la cosa giusta, senza sapere se ci si è riusciti o meno.

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Luci e ombre, verità e contraddizioni di una realtà che vivono più adolescenti di quanto si possa immaginare, il tutto condito dalla tipica briosità delle serie teen nel raccontare cosa significa, in fin dei conti, essere ragazzi e come, anche dopo i momenti più bui, si abbia la voglia di continuare a sperimentare, nonostante le paure che sono pronte a spuntare anche quando si pensava di averle soffocate.

C’è un momento, piuttosto d'impatto nella serie, durante il secondo episodio, quando Mia è alle prese con il suo primo appuntamento e ciò che pensa viene espresso in maniera chiara, cristallina, attraverso la sua voce fuori campo. Ed è qui, il senso di una serie del genere, che forse avrebbe potuto osare di più, ma che comunque riesce a mostrare a chi non ha gli strumenti per comprenderlo, cosa significa gestire un disturbo alimentare, quando tutti sono pronti a giudicare senza sapere davvero cosa si celi dietro un’eccessiva magrezza, dietro abiti larghi e informi, dietro il terribile e lancinante desiderio di vedersi scomparire e sentirsi forti nel vedere che, in un modo doloroso e infimo, ci si sta riuscendo.

Sentirsi inappropriati, inadatti, manchevoli, sentirsi vuoti il più delle volte accade, come è proprio Mia a raccontare con una straziante lucidità:

I vestiti, per me, servono solo a nascondere, ma un appuntamento significa mostrarsi, farsi vedere. La gente crede che un’anoressica voglia solo essere bella, voglia solo essere magra e pensa che sia la stessa cosa, ma non importa quanto io sia magra, se mi sento sempre così sbagliata. C’è qualcosa che mi manca, ed è qualcosa che va ben oltre avere mani delicate, un bel portamento ed estrogeni, tu sei fallata Mia, la tua femminilità è fallata, Mia, devi aver saltato la lezione su come essere una ragazza, una vera ragazza”.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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