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Opinioni

Doc era una serie perfetta

Da grandi ascolti derivano grandi responsabilità e il successo oceanico indiscutibile di Doc giustifica un discorso su questa seconda stagione che, dopo una partenza fenomenale, ha mostrato i limiti di una trama indebolita e forzata, da ricostruire.
A cura di Andrea Parrella
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Sarebbe impossibile mettere in discussione la riuscita dell'operazione Doc. La serie TV con Luca Argentero è arrivata all'epilogo della seconda stagione battendo record su record e imponendosi come il prodotto di maggior successo della Rai Fiction degli ultimi anni. Non solo numeri, perché la prima stagione di Doc si era dimostrata un prodotto eccellente anche per l'equilibrio tra i vari elementi narrativi del primo medical drama italiano, al punto da poter ambire al confronto con le omologhe serie Tv americane senza vedere sciolte le proprie ali. Grandi emozioni sì, ma non derive melense, interpretazioni incisive ma ponderate, personaggi sfumati e variegati.

Doc 2 e la svolta del Covid

Tutto il primo blocco si era retto sulla storia vera, e potentissima, cui Doc si ispira. Questo, accompagnato a una scrittura moderna e a un cast riuscito, aveva determinato il successo oceanico confermato anche nella seconda stagione, nella quale è stato inserito con arguzia e sensibilità il tema del Covid. Non è un caso che i primi 4-6 episodi della seconda stagione di Doc siano stati eccellenti, a tratti superiori a quelli della prima, proprio in virtù della tensione emotiva generata dal tema d'attualità e dalla morte inattesa di un personaggio chiave.

I limiti della seconda stagione

La scomparsa di Lorenzo Lazzarini è stata il sole di Doc 2, l'elemento stabilizzatore da cui è partito ogni rivolo di racconto. Se nella prima parte di stagione ha influito in una chiave prevalentemente sentimentale, catalizzando direttamente o indirettamente i traumi legati al Covid di tutti i personaggi, nel prosieguo del racconto è stata funzionale alla svolta crime. Una sterzata narrativa quasi inevitabile, ma che ha finito per impoverire il racconto stesso di una serie fino a quel momento perfetta, che poi ha dovuto fare i conti con la realtà. Sono arrivati personaggi tracciati in modo inverosimile, come il cinico Caruso, cattivo e solo cattivo senza un briciolo di sfumatura, o altri a corrente alternata come Cecilia Tedeschi, ago della bilancia che oscilla più volte tra il bene e il male senza stazioni intermedie.

In questo andirivieni continuo la trama, che fino a quel momento era stata densa e piena, ha finito per perdere consistenza, appiattendosi sul lastricato percorso di Fanti per l'esame da primario, con continue interferenze lungo il percorso. Nella generale fragilità il melodramma ha intaccato la recitazione degli interpreti, fino a quel momento credibili in un contesto spesso a rischio sbavature melense.

Un finale poco credibile, ma necessario

Nell'inerzia di un racconto che aveva coinvolto milioni di spettatori e doveva arrivare all'epilogo, hanno preso il sopravvento dialoghi poco credibili, passaggi inverosimili che hanno restituito, specialmente negli ultimi episodi, l'impressione di forzature necessarie a portare la storia all'epilogo in modo sbrigativo. Il finale si è condito di un surreale processo senza giudici e avvocati al Caruso sopra citato e la stessa struggente morte di Alba finisce per apparire come un necessario strumento funzionale all'apertura definitiva alla svolta sentimentale tra Riccardo e Carolina, più volte interrotta sul nascere in questa stagione.

Una narrazione indebolita che non ha certo impedito a Doc di confermarsi come un successo di dimensioni enormi. Ma da grandi ascolti derivano grandi responsabilità e Doc, proprio per questo, merita uno sguardo critico e severo. La curiosità, a questo punto, sta nel capire in che modo si articolerà Doc 3, se ancora una volta si rimetterà in discussione il ruolo di Fanti e se Doc riuscirà a ritrovare quell'equilibrio perfetto tra medical e drama che gli aveva aperto le porte per il successo.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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