Questo pezzo inizia con una domanda per molti aspetti retorica: a cosa servono cinema e serie tv? Di risposte potrebbero essercene davvero tante e tutte mediamente valide, ma c’è una ragione di primaria importanza che sovrasta, spesse volte, tutte le altre. Se non vogliamo pensare che il cinema sia mera elucubrazione artistica, o puro intrattenimento, allora è giusto considerare l’ipotesi che il cinema e le forme di rappresentazione affini siano un modo per raccontare il mondo in maniera schietta, aperta, più di quella che siamo soliti utilizzare ogni giorno per raccontare le nostre storie.
È così che una serie tv, un film, fungono da lenti di ingrandimento della realtà che ci circonda, ma che siamo abituati a guardare in maniera distratta, superficiale, piuttosto che soffermarci quell’attimo in più per capire cosa sta davvero accadendo ad un palmo dal nostro naso. Ebbene, a questo proposito, cosa hanno in comune un film come Barbie e Sex Education 4 su Netflix? Più di quanto si possa immaginare.
Il film di Greta Gerwig che ha sbancato al botteghino in ogni dove e ha avuto il merito di aver riportato le persone in sala, ha raccontato la storia della bambola più famosa del pianeta che, diversamente da quanto accade nel mondo reale, in quanto donna è regina non solo della sua vita, ma di tutto ciò che la circonda, mentre gli uomini che le ruotano attorno sembrano essere un accessorio e nulla più.
Una critica spietata al patriarcato per alcuni, una lettura parodica di una realtà agghiacciante per altri. Perché in effetti il patriarcato esiste, le donne non sono considerate come meriterebbero, il divario con gli uomini ha assunto col tempo le fattezze di un solco profondo e difficile da riempire, ma anche la società ha spinto perché diventassimo tutti, nessuno escluso, degli automi progettati con l’obiettivo di lavorare e costruire una vita assecondando solide aspettative.
Guardando il film ci si accorge che, pur ridendo di quanto accade nel roseo mondo di Barbie, e sogghignando guardando la reazione di Ken nello scoprire che oltre la spiaggia c’è di più, in realtà siamo davanti ad una tragicomica rappresentazione di quello che, a parti inverse, avviene nel mondo di oggi. L’esasperazione è l’elemento chiave di Barbie, attraverso il quale chi guarda comprende che quanto rappresentato sul grande schermo sia vero e non solo un’invenzione della regista o di qualche sceneggiatrice repressa. Quante volte le donne si sono sentite oggetti, quante volte non sono state valorizzate, quante altre ancora si sono sentite invisibili.
I toni esagerati e parodistici, una volta scarnificati, mettono in luce le vere problematiche che affliggono tanto gli uomini, quanto le donne: entrambi incapaci di riconoscersi facendo fede solo al loro valore di individui, costretti da idee manichee a distinguersi in uomini e donne, maschi femmine, Ken e Barbie.
Le stesse corde, seppur in maniera diversa, le tocca anche la quarta stagione di Sex Education, la serie Netflix, tra le più viste sulla piattaforma e che nel suo capitolo conclusivo raggiunge l’apice della sua completezza, raccontando tutto quello che esiste nella nostra società e che noi, spesso, facciamo finta di non cogliere. O almeno lo facciamo solo in parte. Comunità queer, persone con disabilità, amori disfunzionali, amori tossici, depressione, ansia, paura di amare, paura di lasciar andare via, desiderio di radici e di rivalsa, tutto questo è raccontato negli otto episodi che compongono la serie, e non poteva esserci modo migliore per accendere un faro su ognuna di queste tematiche.
Ci siamo mai chiesti cosa succede ad una ragazza con una disforia di genere? Ci siamo mai soffermati sulla confusione emotiva, fisica e mentale procurata dal bombardamento di ormoni? Oppure, ci siamo mai chiesti cosa vuol dire avere una disabilità e trovarsi, continuamente, di fronte alle mancanze della comunità che sembra non rendersi conto di quanto un’ascensore possa essere importante per chi le scale non può salirle? Forse no, non ce lo siamo chiesti abbastanza spesso.
E ancora, abbiamo mai pensato che, magari, un ragazzo omosessuale possa sentire fortemente di essere cristiano, ma non si senta accettato da Dio e dalla propria comunità religiosa al punto da allontanarsi dalla fede, sentendosi un errore deambulante e rinnegando tutto quell'amore che ha dentro di sé?
È importante sapere che ci sono adolescenti che non si sentono accolti dai propri genitori, che si sentono incompresi, che pur di vivere liberi hanno paura di affermare i propri sentimenti ed esasperano l’uso di positive vibes, accantonando i problemi e spazzandoli via sotto un enorme tappeto di repressione. Quando, poi, non è fingere che vada tutto bene, che non ci siano screzi e non si parli alle spalle degli amici a dare serenità, quanto la consapevolezza di avere una personalità irripetibile che non perde valore se scalfita dalla sofferenza che, volente o nolente, la vita ci scaglia addosso senza alcun preavviso.
Come è fondamentale sapere che ci sono tanti vissuti da riassestare, è altrettanto essenziale sapere che quando il buio prende più spazio della luce, è arrivato il momento di chiedere aiuto. Quando la depressione prende il sopravvento, che sia dopo una gravidanza o in un'altra fase della vita, quando la paura di restare soli offusca le proprie azioni, quando elaborare un abuso diventa difficile, bisogna poter chiedere aiuto, cercare rifugio. Prima che sia troppo tardi, quando un amore diventa incline alla gelosia, possessivo e già non è “troppo amore” ma troppo disfunzionale.
Tutte queste sfumature vivono nella serie Netflix, ma esistono anche fuori dal piccolo schermo. Esistono persone che vorrebbero gridarle a gran voce, ma non hanno solo una platea studentesca a cui rivolgersi, piuttosto un intero mondo in cui assestare i propri passi, uno dopo l’altro, sempre più vacillanti e incerti, per paura di fallire, paura di cadere e non rialzarsi più.
Ecco, quindi, a cosa serve il cinema, a cosa serve una serie tv. Un mondo rosa e un liceo inglese che sembra il paese dei balocchi e in cui c’è una ‘clinica' del sesso, servono a guardare in faccia i problemi che non sono finzione, ma realtà, servono a raccontarli, contemplando anche una risata. Servono perché in fondo tutti “se non vediamo non crediamo”, se non tocchiamo con mano non pensiamo sia successo; ma dimentichiamo che anche il più grande romanziere attinge sempre dalla realtà per rimpinguare la propria fantasia.
Ce ne vorrebbero tanti di prodotti che ci risveglino dal nostro torpore e che ci parlino così chiaramente di un mondo in continua evoluzione che abbiamo attorno, ma che troppo spesso non sappiamo riconoscere.