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Cabinet of Curiosities di Guillermo del Toro: una fiera horror in cui manca solo la paura

Su Netflix è sbarcata Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities, la serie antologica a cura del regista messicano premio Oscar che indaga le sfumature dell’horror. Una confezione, tra regia e fotografia, davvero mirabile per otto storie, in fin dei conti, nemmeno troppo spaventose. Il che non è necessariamente un difetto per il pubblico mainstream, anche se gli amanti del genere potrebbero rimanere un po’ delusi.
A cura di Grazia Sambruna
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C'è qualcosa là fuori. E non ha buone intenzioni. Il regista Premio Oscar Guillermo del Toro sbarca su Netflix con Cabinet of Curiosities, serie antologica composta da otto episodi, otto racconti horror da un'ora ciascuno, che indagano le più grandi paure (ir)razionali che l'umanità possa concepire. Regia e sceneggiatura sono affidati ad altrettanti diversi director e autori, spesso stretti collaboratori del cineasta. Del Toro, però, ha avuto un ruolo cruciale nella scelta delle storie da rappresentare essendo, oltre che producer del progetto, anche showrunner.

Quindi cosa troviamo nell'armadio (o camera) delle meraviglie del regista de La Forma dell'Acqua? C'è l'imbarazzo della scelta, questo è sicuro. Non tutti gli episodi, però, sono efficaci allo stesso modo. Disponibile sulla piattaforma dal 25 ottobre, ne sono poi usciti due al giorno fino al 28. Ora che li abbiamo visti tutti, possiamo ragionare su quali siano i migliori e viceversa. Perché se molto c'è da ammirare in questa opera a suo modo magistrale, a mancare molto spesso è la paura.

Reduce dal deludente, per quanto pluri-candidato agli Oscar La fiera delle vanità, il regista messicano qui fa da voce narrante, introducendo à-la Hitchcock ogni puntata "di questa sera". Ed ecco la prima scelta narrativa azzeccata: Cabinet of Curiosities, infatti, non è da binge-watching. Vista anche la diversità dei temi affrontati di episodio in episodio, ognuno di essi vale come favola nera della buonanotte. Un rito che forse ci riporta un po' all'infanzia, al campeggio estivo o a quello che i film americani vogliono farci passare come rito da campeggio estivo, torce alla mano e piccoli brividi da raccontare ai compagnucci per popolare i loro incubi notturni. E di cosa vuole popolare i nostri incubi del Toro?

C'è l'imbarazzo della scelta: ogni episodio si basa su un racconto scritto, due arrivano direttamente da Lovecraft, e così ci troviamo davanti a spiritismo, alieni parassiti, case infestate, quadri con poteri sinistri e moltissimi altri topoi dell'horror vecchia e nuova maniera. Fortunatamente, mancano all'appello vampiri e licantropi, già fin troppo inflazionati (quando non proprio brutalizzati da narrazioni cine-televisive nel passato recente).

La cura con cui è stata data vita a questo progetto è mirabile, maniacale. A fronte di un budget evidentemente notevole, siamo davanti al lavoro di un'intera produzione innamorata di ciò che stava mettendo in scena: la fotografia, la regia e gli effetti visivi sono sempre ineccepibili e trasportano lo spettatore in mondi osceni, morbosi quando non terrificanti, almeno nelle intenzioni. Ma sempre visivamente stupefacenti. Se ritrovarsi ingabbiati in un incubo horror avesse davvero questa magnificenza panoramica, verrebbe quasi da sperare di finirci dentro per ammirarne il paesaggio.

Se la certosina attenzione al dettaglio è di certo uno dei meriti principali della serie, c'è anche da dire che non tutti gli episodi siano all'altezza l'uno dell'altro. Ogni spunto di narrazione è notevole e intrigante, ma spesso le risoluzioni suonano telefonate: da metà puntata, risulta piuttosto chiaro dove la storia voglia andare a parare. E, infatti, ci va. La mancanza di particolari colpi di scena è ciò di cui più difetta Cabinet of Curiosities. Anche l'aspetto psicologico del personaggi che, a detta di del Toro, avrebbe dovuto essere indagato a fondo, molto spesso zoppica.

Fanno eccezione L'Autopsia (ep 3) e L'Apparenza (ep 4), senza dubbio i migliori della covata. Anche se il primo, come il titolo lascia presagire, non è adatto a chi non ama vedere fuoriuscire organi interni. In assoluto, è forse quello che rischia di disturbare maggiormente uno spettatore poco avvezzo al gusto dell'orrido. Non mancano gli special guest all'interno del cast: Rupert Grint (Ron Weasley di Harry Potter) è protagonista de I sogni nella casa stregata (ep 6) e tornando così alla magia (nera) dopo Hogwarts. Insieme a lui Nia Vardalos (da Il mio grosso grasso matrimonio greco).

La maggior parte dei finali resta in qualche modo "aperta", nel senso che lo spettatore viene messo davanti all'epilogo della vicenda e non può evitare di domandarsi, nei casi in cui qualcuno dei protagonisti resti in vita nonostante le traversie… "E ora?". Non lo sapremo mai. Ma anche per questo Cabinet of Curioties si pone come un ottimo passatempo conviviale: al termine di ogni episodio, ognuno avrà certamente la propria interpretazione rispetto a ciò che è stato e a quello che potrà avvenire poi. Non è da sottovalutarsi l'idea del "cineforum" gotico che la visione di questa serie ha grandissime chance di lasciar spontaneamente scaturire.

Topi che trascinano cadaveri appena sepolti nelle profondità del sottoterra (per quale motivo?), un anziano milionario che ha fatto una sconvolgente scoperta a cui non sa dare nome (e sarebbe meglio così), dipinti rivelatori di grandi e angoscianti pericoli imminenti e ineludibili, una madre che resta ossessionata dal volo degli uccelli nel tentativo disperato di elaborare un grave lutto subito. La stanza delle meraviglie di Guillermo del Toro è sicuramente un progetto di grande qualità che mira a nobilitare horror rendendo omaggio ai suoi più atavici clichè. Sorprende? Non sempre. Ma certo non era questo l'obiettivo. Se volete provare il sottile piacere di sentir scorrere piccoli brividi lungo la vostra colonna vertebrale, su Netflix avete un'ottima occasione per farlo in tutta sicurezza. Se invece siete amanti dell'horror disturbante, più di sostanza che di forma, avvertirete solo un piccolo solletichio mentre gli occhi vi si riempiranno di immagini comunque maestose. In entrambi i casi, ne varrà la pena. Al netto di qualche sbadiglio. 

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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