Avetrana, gli autori del libro da cui è tratta la serie sospesa: “Capitolo senza precedenti”
"Siamo di fronte a un capitolo di meta-mediaticità senza precedenti". Parlano così Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, autori di "Sarah – La ragazza di Avetrana" pubblicato da Fandango, alla base del documentario per Sky omonimo e adesso della discussa serie di Disney Plus "Avetrana – Qui non è Hollywood", nelle scorse ore sospesa dal Tribunale di Taranto a pochi giorni dall'uscita su Disney Plus. In un'intervista a Fanpage.it i due autori ricostruiscono il loro lavoro, ripercorrendo il processo di coinvolgimento in una delle vicende di cronaca più complesse degli ultimi decenni: "‘La fantasia umana è immensamente più povera della realtà'. Questa frase di Cesare Pavese l'abbiamo scritta a caratteri cubitali nel nostro studio, sulla parete principale, ed è la sintesi di quello che sta accadendo adesso".
Il libro – che ricostruisce con dovizia di particolari il caso, mettendo insieme una puntuale analisi dei documenti a interviste esclusive – ripercorre l'intera vicenda affidando la narrazione ai quattro protagonisti principali della tragedia (come poi riproposto dalla serie) e indagando il modo in cui si è giunti a una sentenza che, come i due autori notano nel libro, probabilmente non può dirsi pronunciata oltre ogni ragionevole dubbio: "Di certo che sta accadendo entra di diritto nella narrazione del caso. Ci troviamo di fronte a un tragico episodio di cronaca nera, divenuto poi uno show dell'orrore, che adesso pone oltre a domande morali ed etiche, questioni di inaspettato interesse giuridico. Tutti gli sviluppi ci paiono assolutamente imponderabili, ma confermano la tragica storia accaduta ad Avetrana come un unicum".
Al vostro libro è ispirata la serie tv “Avetrana – Qui non è Hollywood”, che sarebbe dovuta uscire il 25 ottobre su Disney + ed è stata accompagnata da diverse polemiche fin dal suo annuncio. Perché secondo voi?
Dal nostro punto di vista di narratori, la storia di Sarah Scazzi è molte storie. È la storia di una quindicenne che esce di casa per andare al mare con sua cugina, e non vi fa più ritorno. È la storia di una ricerca che catalizza l'attenzione di tutta Italia per quarantadue giorni. Fino a quando Michele Misseri, che inaspettatamente irrompe sulla scena per settimane dominata dalla figlia Sabrina, non fa ritrovare prima il cellulare della nipote, dunque confessa di averne occultato il corpo dopo avere ucciso Sarah, con cui aveva tentato un approccio sessuale. Ma è anche la storia di come i media hanno trasformato in un set a cielo aperto un paese fino a quel momento anonimo. Di come le notizie si possono creare, e sono state create, per alimentare uno show dell'orrore senza precedenti, andato in scena a reti unificate. Con gli anni è diventata una narrazione italiana, che tocca in modo diverso le corde di tutti noi, facendole vibrare tutte con violenza.
Perché avete scelto di raccontare proprio questa vicenda di cronaca nera?
Raccontare la storia di Sarah Scazzi, e quello che è seguito processualmente e mediaticamente alla sua morte, è stato un lungo viaggio in un Sud ammaliatore e disperato, bellissimo e furioso, che vive delle sue tradizioni ed è vittima di ancestrali pettegolezzi. Abbiamo seguito questa vicenda fin dall'inizio, come spettatori, venendo trascinati in ciò in cui era stata trasformata. La morte di Sarah Scazzi – cerchiamo di non usare mai la parola caso, perché la troviamo aberrante – ha catturato l'attenzione del pubblico non solo per la tragedia in sé, ma anche per il modo in cui è stata trattata dai media. In un certo senso, abbiamo cercato di esplorare e rappresentare non solo i fatti, ma anche l'eco che ha avuto nella nostra società. La nostra narrazione si è concentrata sul tentativo di comprendere le dinamiche familiari, le emozioni e il modo in cui la vicenda è stata vissuta dalle persone direttamente e indirettamente coinvolte. Persone qualsiasi che, da un giorno all'altro, si sono trovate a essere personaggi. Se prima parlavano al bar in piazza, improvvisamente si sono trovati a fare i medesimi discorsi paesani a reti unificate.
Qual è stata – se c’è stata – la reazione degli avetranesi alle vostre pagine?
Abbiamo presentato il libro in tutta la Puglia, e la presentazione con meno persone è stata proprio vicino Avetrana. Anche confrontandoci con molte persone del posto, la sensazione è stata quella di un profondo sentore di rimozione, comprensibile e dolorosa. Ricordiamoci che al centro di questa tragica vicenda c'è l'omicidio di una quindicenne, e che nel 2010 la quiete dell'anonima cittadina pugliese è stata interrotta per sempre. Forse potremmo dire che quattordici anni fa, alla fine d'agosto, Avetrana è stata costretta a perdere per sempre la sua innocenza di luogo.
Il Tribunale di Taranto ha accolto la richiesta di sospensione della serie, avanzata dal Comune di Avetrana. Come state vivendo questo provvedimento?
Abbiamo sempre avuto il massimo rispetto per la comunità di Avetrana, di cui nel libro parliamo ampiamente e diffusamente fin dalle origini. E lo stesso rispetto lo abbiamo dedicato a questa tragica storia. Ci auguriamo solo che l'acceso dibattito che si sta sviluppando in questi giorni possa anche andare a focalizzarsi nel merito della vicenda, e nel cortocircuito che sottende.
Quale?
Per la prima volta nella storia del nostro Paese ci troviamo di fronte a un uomo giudicato innocente dalla legge che si dichiara colpevole di omicidio, e due donne condannate all'ergastolo che non hanno smesso di battersi perché siano riconosciute non solo innocenti, ma del tutto estranee ai fatti.
Che cosa è per voi questa storia oggi?
Quello che è sempre stato. Per noi la storia di Sarah Scazzi non è un esercizio dello stile true crime, né una tragedia a puntate. Per noi è diventata una vera e propria ossessione. Una vicenda che non crediamo alla luce della lettura di tutti i documenti, migliaia e migliaia di pagine, e alla frequentazione dei diretti interessati, realmente risolta "oltre ogni ragionevole dubbio" come la legge prescrive.