La fiction di Rai1 è ormai una garanzia per i telespettatori, sicuri che durante l’inverno avranno modo di sprofondare sul divano e appassionarsi a storie, intrighi, amori, casi da risolvere, che si animeranno sul piccolo schermo. Tra i titoli che più hanno riscosso successo da quando è comparso per la prima volta in tv lo scorso anno, c’è “Mina Settembre”, la fiction con protagonista Serena Rossi che, domenica dopo domenica, sta conquistando il pubblico della rete ammiraglia.
Non siamo ai livelli di DOC, finora il prodotto targato Rai più seguito in assoluto, che ha toccato vette anche di 7 milioni di telespettatori, ma comunque la fiction ambientata a Napoli, ormai arrivata alla sua seconda stagione, si difende più che bene. Sono infatti quasi 5 milioni gli italiani sintonizzati sul primo canale e pronti a seguire le vicende della volenterosa e testarda assistente sociale, pronta ad aiutare chiunque ne abbia bisogno.
Ebbene, seppur tratta da racconti scritti da Maurizio De Giovanni, quest’ultimo non ha partecipato alla sceneggiatura e, quindi, ciò che vediamo sul piccolo schermo è tutta farina che fuoriesce dal sacco degli sceneggiatori chiamati a creare un personaggio che possa soddisfare i gusti del pubblico. Missione compiuta, ci sarebbe da dire. Ecco, ma perché?
Mina Settembre rientra a pieno titolo in quel filone di prodotti Rai con una matrice educativa, un po’ paternalistica, sebbene non manchino le contraddizioni, e che mira a mostrare la favola bella per cui “il bene vince sempre sul male”. Come una sorta di supergirl, considerando il cappotto rosso che potrebbe sostituire il mantello l’accostamento non sembra poi così azzardato, l’assistente sociale proveniente dai quartieri alti, ma con l’animo prodigo all’accudimento e all’assistenza per il prossimo, incarna il personaggio chiave di colei che, in barba a ciò che si dovrebbe fare, rischia sulla sua pelle per portare luce in un mondo in cui la cattiveria e anche la disonestà regnano sovrane.
Come Don Matteo prima e Suor Angela poi, Mina Settembre è una nuova figura che serve a smuovere le coscienze del prossimo, stavolta in una versione laica. E, quindi, se il criminale prova a delinquere di nuovo, c’è lei pronta a farlo ragionare; se un uomo in preda ad una crisi esistenziale tenta il suicidio, c’è Mina che sale su un cornicione di un palazzo per allungargli la mano e salvarlo da sé stesso, trovandogli anche un lavoro. Anche perché, neanche dirlo, sembra che solo lei sia in grado di farlo, parafrasando gli insegnamenti machiavelliani per cui il fine giustifica i mezzi.
Ma come uno dei film più pop degli ultimi dieci anni ci insegna: “Se la tua vita privata va a rotoli, allora significa che quella professionale sta andando alla grande”, per compensare la dedizione e la bravura tra le strade della Sanità, girandoci dall’altra parte, possiamo vedere che la vita lontana dal lavoro di Mina Settembre non è certo da applausi.
Un matrimonio che sembrava essere finito, ma una seconda chance non si nega a nessuno figuriamoci a Giorgio Pasotti in veste di magistrato; un’amicizia (quella con Irene) sull’orlo del precipizio o quasi; un nuovo amore che ha il volto di Giuseppe Zeno messo in stand by, una madre sarcastica, polemica e per questo anche simpatica; l’amatissimo padre ormai defunto e, poi si scopre, anche bugiardo, uno pseudo nipote che poi si rivela essere suo fratello. Insomma un po’ di torbido non poteva mancare. Ed è forse questo lato qui, quello più sporco di normalità (per quanto si possa dire), che attira più del mondo fatato in cui “tutto va come deve andare”.
Il motivo del successo di questa fiction, forse, sta proprio qui: nel voler dimostrare che una strada giusta da seguire ci sarebbe, che bisogna essere pronti ad inseguirla, -ricordandoci però che solo i protagonisti delle fiction possono commettere piccoli atti per aggirare la burocrazia senza essere scoperti-, e quindi concedersi almeno la domenica sera una ventata di positive vibes, consapevoli che il lieto fine esiste, ma solo se ce lo andiamo a cercare.