In Giappone esiste una cerimonia per celebrare il divorzio che ha fama di essere molto più sfarzosa di quella nuziale. I due futuri ex sposi radunano amici e parenti, la combriccola così riunita gusta, compostamente seduta, filmati della loro vita di coppia oramai conclusa e poi sbam, il fu marito e la fu moglie guadagnano il centro della sala, addobbata a festa, per distruggere le reciproche fedi con due grossi martelli. Nessun imbarazzo: tradizionalmente, è soltanto la gioiosa celebrazione di un nuovo inizio. E lo è, sospettiamo, anche per il cerimoniere (sì, c’è qualcuno che nella vita svolge la professione di “divorzista cerimoniere”) che viene piuttosto profumatamente pagato (la quota minima equivale a 600 dollari) per officiare tale evento d’addio. Con queste premesse, era inevitabile che la cultura nipponica decidesse di dedicare la dovuta premura alla narrazione della fine di (almeno) un matrimonio. Dal 2017 l’autore Kurosawa R. ne ha scritto e disegnato un manga – per il momento non disponibile in lingua italiana – dal titolo Kingyo Tsuma da cui è tratta la nuova serie Netflix Fishbowl Wives: la prima stagione (8 episodi) è a piede libero dal giorno di San Valentino.
Il focus del progetto si basa, fuor di lirismo, sulle più prosaiche corna tra coniugi in un intreccio che si dipana di episodio in episodio raccontando la storia di sei donne e delle altrettante palle al piede – sì, i loro mariti – che le nostre si tirano dietro forse già da troppo tempo tra incomunicabilità, indifferenza quando non vera e propria violenza domestica. Alcune tra le sei co-protagoniste, semplicemente, hanno invece voglia di sperimentare altro, e trovano così assurdo “che una donna per tradire debba sempre inventarsi un qualche scenario struggente”. Per ora priva di doppiaggio in lingua nostrana, Fishbowl Wives è una serie che surclassa le produzioni italiane (ma anche parecchie a stelle strisce), così stucchevoli nel raccontare la fine di un amore. Sarà tutto merito del feng shui? Sicuramente c’è un pesce rosso a metterci una buona pinna…
Considerato lo strazio che è Fedeltà, la serie italiana con Michele Riondino e Lucrezia Guidone nei panni di una coppia di piacenti sposi con fantasie fedifrago-intellettualoidi, Fishbowl Wives è una (pur sempre elegante e raffinata) scossa al genere melò. E lo è perché sbatte lo spettatore al centro dell’azione fin dalla prima scena: un appassionato amplesso, in doccia, di due coniugi (di qualcun altro) davanti alla vetrata del lussuoso grattacielo in cui entrambi dimorano. “Per un marito non c’è niente di meno desiderabile della propria moglie”, spiega lui alla fine dei giochi, mentre guarda l’amante riflessa nello specchio del bagno intenta a spruzzarsi qualche goccia di profumo della padrona di casa, con ghigno di scherno stampato sul pur bellissimo grugno. Nel mentre Sakura, la legittima consorte dell’uomo, imbellettata e abbigliata da bomboniera, sparge sorrisi giulivi in una sala gremita: è la sua festa di compleanno – organizzata con poderoso sfarzo proprio dal marito traditore, giusto per speziare un po’ il racconto – alla presenza di tutta la Tokyo che conta (ovvero chi vive nel grattacielo, ma solo dal trentesimo piano in su).
Alcuni invitati sanno dell’attitude da Casanova nipponico del consorte di Sakura (soprattutto per direttissima esperienza), ma la maggior parte si limita a invidiare il matrimonio della donna: le ha fatto ottenere una vita piena di agi, attenzioni (apparenti) e ricchezze. Poi l’amante della prima scena fa il suo ingresso al party, ancora un filo spettinata, e siede al tavolo della festeggiata per farle i suoi più sinceri auguri con un bel brindisi e scambiare due chiacchiere insieme alle borghesissime ospiti, tutte splendidamente bon-ton nel loro impettito (e credibile?) aplomb da signore della Tokyo bene. Loro saranno le sei protagoniste della storia. E sì, siamo a cinque minuti e già abbiamo visto intere saghe seriali con molta meno trama di così.
Ok, ma cosa c’entra il pesce rosso del titolo? Presenza fissa di ogni episodio è un’anziana fortune teller misteriosa (senza nome, per esempio) che dispensa consigli (molto nipponici) ai piccoli, grandi problemi di cuore che le vengono esposti quando, con aurea quasi mistica, appare incedendo sontuosa nei corridoi dello skyline: vuoi avere un bambino? È indispensabile che cominci a prenderti cura di un pesce rosso: l’oro che dipinge il riflesso delle sue pinne, secondo il feng shui, è simbolo di grande, imminente prosperità. A metà strada tra Wanna Marchi e il Mago Otelma, ma con la compostezza di Papa Francesco, ispira una fiducia tale per cui è impossibile non mettere in pratica le sue auliche dritte. Sì, però quando la donna tanto desiderosa di maternità torna a casa col pescetto nuovo di pacca, lì vi ritrova quell’ameba che si è sposata, come sempre gattosorianato sul divano e con un unico istinto vitale: stare attaccato alla Play Station come un decenne pre-puberale finché non prende sonno. Se questo personaggio sembra una macchietta, la classica linea comica alla Boris, fidatevi: le ragioni del suo atarassico comportamento saranno ancora più strambe di quanto possiate immaginare e complicheranno parecchio il menage matrimoniale della coppia che, da una scena con l’altra, si ritroverà in preda alla più disturbante (e bizzarra) locura…
Ognuna delle sei donne splendidamente dipinte dalla serie non incarna un solo cliché: non c’è soltanto “la vittima”, “l’allupata”, “l’esasperata”, “la depressona” e via dicendo. Fishbowl Wives è un inno alle mille sfaccettature dei personaggi (anche maschili) che, per un motivo o per altro, si ritrovano a vivere come un pesce nella sua boccia, molto spesso senza che qualcuno si curi di cambiargli l’acqua e nella cieca convinzione di non poterlo fare da soli. Ognuno è in coppia, sì, ma individualmente alla ricerca di una piccola grande scossa che lo liberi dal gigantesco skyline tutto vetrate a strapiombo su Tokyo in cui porta avanti la propria esistenza, mentre una parte remota di sé continua ad agitarsi, intermittente come la spia della riserva di benzina, a indicare che forse una persona migliore, il “twin ray” che completerebbe la sua vita, esista pure là fuori. Il messaggio della serie, se dovessimo trovarne uno, è che presto o tardi, questo coraggio di uscire alla conquista di qualcosa di meglio, non importa quello che la gente potrà avere da ridire, lo si trova eccome, anche spontaneamente, senza melodrammi o scene plateali. Il destino, dopotutto, questo sarebbe.
Non è cafona, non è urlata ma questa Fishbowl Wives fa centro. Se la Corea del Sud con Squid Game ci ha insegnato come uccidere le persone, il Giappone qui mostra, senza countdown, molte delle strategie (anche fallibili) per amarle meglio. A cominciare da una, la più importante: sé stessi. Pesce rosso o no, abbiamo davanti un’inception di storie rosa che illustra la questione dei sentimenti come il prisma di conflitti, gioie e tradimenti che è. Senza che sia strettamente necessario ricorrere a un martello. Un, due, tre… stacce.