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Valerio Lundini: “Una pezza di Lundini non poteva diventare un prodotto per fare ascolti”

Valerio Lundini si racconta in un’intervista a Fanpage.it, spiegando i reali motivi della chiusura di Una Pezza di Lundini senza grandi ripensamenti, specificando che con Emanuela Fanelli sono “sempre stati complementari” e concludendo con i progetti futuri in Tv: “Conferenza stampa su Raiplay? Non è il mio nuovo programma”. E ora il tour estivo con i Vazzanikki.
A cura di Andrea Parrella
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In due anni Valerio Lundini ha fatto parlare molto di sé, segnando e stravolgendo le cronache televisive. Per tanti idolo, col merito di aver portato in televisione un sarcasmo e un umorismo alieni a quel contesto (trainando anche un pubblico che di rado frequenta la Tv); da altri respinto, forse incompreso perché troppo sopra (o fuori) le righe. Il suo Una Pezza di Lundini, in ogni caso, giunge a conclusione dopo tre stagioni, come lui stesso ha confermato, per quanto il programma proseguirà idealmente in estate con il tour insieme alla sua band, i "Vazzanikki".

Partiamo da "Una Pezza di Lundini cancellato". Da questa notizia è nato un piccolo giallo.

Sì, non sono molto d'accordo con l'utilizzo del termine "cancellato", mi sa più di cacciato dall'azienda.

Come è andata concretamente, avete deciso voi di mettere fine all'esperienza?

In realtà già la terza stagione era partita con l'idea di provare e vedere come andasse. C'erano ancora delle idee, ma il rischio era cominciare a lavorare in automatico per riempire delle puntate, cosa che non mi andava. Preferisco fermarmi, lavorare ad altro, scrivere altre cose e magari riprendere quando avrò messo da parte delle cose da proporre.

Questa ultima stagione, insomma, non l'hai sentita tua?

Ci sono stati momenti in cui, fermandomi a riflettere, ho pensato che con un po' più di calma avrei fatto qualcosa di meglio. Con una quarta stagione, il rischio era una totale normalizzazione del programma.

La forza di Una Pezza era l'equivoco, il fatto che lo spettatore non capiva se tu fossi serio oppure no. È possibile che la vita breve del programma dipenda dal fatto che, svelato questo meccanismo, il programma stesso sia disinnescato?

Certo, infatti l'evoluzione possibile della scrittura del programma era uscire dallo schema dell'equivoco, quell'essere fuori luogo continuo del conduttore. Questa cosa in parte era già successa nella seconda stagione, forse per la riuscita dello show molti ospiti conoscevano già il programma e i suoi meccanismi e quell'effetto di straniamento non aveva più molto senso.

Una Pezza era già cambiato, dando maggiore centralità a Emanuela Fanelli.

Quando Emanuela ha il suo spazio io sono contentissimo, perché tutto ciò che dà lei al programma è totalmente diverso da quello che darei io, ma non diverso da quello che mi piace. Quando lei fa cose sue io riesco a guardare lo show dall'esterno, come spettatore. Tra l'altro sono cose che gira in maniera totalmente autonoma, io non ci sono mai, il risultato spesso mi fa sperare che quello che faccio io sia allo stesso livello. Il suo era uno spazio fondamentale, anche e soprattutto perché non vedevo la mia faccia, cosa che non amo guardare molto.

C'è mai stata qualche frizione tra voi?

No, affatto, siamo sempre stati complementari. Le parti che facevamo io e lei ce le immaginavamo due secondi prima, avevamo in mente quello che succedeva ma poi era per larga parte improvvisazione.

Il programma ha spaccato il consenso. Popolarissimo sui social, ha avuto grandi difficoltà con gli ascolti. Pensi che la Rai potesse supportarvi di più?

Questo non lo so, sicuramente Una Pezza sarebbe potuto andare avanti, ma non mi andava che diventasse un processo industriale. Prima scrivevo tutto quello che mi passava per la testa, il pericolo era finire a scrivere ispirandomi a me stesso, basarmi sul pubblico e gli ascolti. Nella comprensione di questa cosa mi hanno aiutato anche i Simpson.

In che senso?

Si impara tanto dai Simpson, sempre. In generale si pensa che i Simpson oggi siano meno divertenti di una volta, ma io non lo credo. Penso semplicemente che sia passato troppo tempo dalla loro era d'oro perché li si possa ritenere ancora divertenti. Credo che un episodio dei Simpson scritto oggi, negli anni Novanta non sarebbe stato giudicato orribile.

Dando seguito al paragone, intendi dire che anche Una Pezza di Lundini aveva fatto il suo tempo?

Intendo dire che quello che dovevano dire Homer e Bart l'hanno già detto.

Al programma si erano affezionati in tanti, la sparizione di Una pezza è per molti una perdita.

Questo lo capisco perfettamente e mi fa anche piacere. Ti dirò che io non la vedo così tragica, sarà particolare ma quando finiscono le cose non ho mai grande dispiacere. A Giovanni Benincasa (ideatore di Una Pezza di Lundini, ndr) accadeva spesso di sentire la mancanza dello studio, mi chiedeva se l'avvertissi pure io e rispondevo di no. Ma non perché sia insensibile… anzi forse sì.

Quindi non ti mancherà?

Al momento non credo, non ho particolare ansia per ciò che finisce perché tendo sempre a pensare che si farà dell'altro. Magari se fra due o tre anni non si sarà fatto più niente, starò lì a dire che mi mancano le cose che facevo.

A questo punto dell'intervista Lundini interrompe per un momento la sua risposta spiegando di essere rientrato in casa e aver trovato la luce accesa. Gli chiedo come poter inserire questa cosa nell'intervista e lui consiglia di scrivere che Lundini entra in casa e si assicura che non ci siano intrusi. "Ho una pistola", grida.

Il tour estivo in musica che parte l'8 luglio con i Vazzanikki si chiama "il primo tour dopo lo scioglimento". Oltre al programma che chiude si scioglie anche il gruppo "Vazzanikki?

Non è il nostro scioglimento, ci serviva semplicemente un titolo evocativo. Esistiamo da una dozzina d'anni e non ci siamo mai sciolti perché non abbiamo mai fatto la grande esplosione, siamo sempre stati una realtà da concerti in club ed eventi privati.

In questi due anni hai fatto conoscere la band portandola con te a Una Pezza di Lundini.

Con qualche variazione. Il complesso è di 6 elementi, ma nel programma il cantante vero, quello che canta meglio, non c'era perché stava facendo un altro programma, Art Rider, in onda su Rai5, che parla di archeologia, storia e cultura. Insomma, la Rai ha diviso i Vazzanikki, ma comunque ha pagato tutti.

Con il programma Tv si sono alterati i vostri equilibri? Il frontman sei diventato tu?

Ho la rogna del nome all'interno del titolo dello spettacolo, è una responsabilità, prima se la banda sbagliava me ne facevo una ragione, oggi magari ci penso un po' di più.

Prima del "successo" invece com'era?

C'è stato un periodo in cui funzionavamo in qualunque formazione, mancava il cantante e cantavamo io e il bassista, c'era il cantante e io non cantavo mai. Eravamo diventati più che un gruppo un magma che funzionava a prescindere. Credo sia la cosa migliore, se manca uno si lavora lo stesso: ci si divide il cachet in meno persone.

Il connubio tra umorismo e musica è lo stile che perseguite e che ha una lunga tradizione in Italia, penso alla recente ospitata di Tony Tammaro a Una Pezza. È una strada che ha margini discografici?

Personalmente non ci ho mai pensato, già far uscire delle cose su Spotify mi è suonato strano. Siamo nati come band che faceva concerti un po' dove capitava e ci piaceva questa dimensione. Non penso si possa avere una finalità commerciale, sono contento di fare spettacoli e possiamo permettercelo soprattutto sulla scorta dell'esperienza Tv. Speriamo di non deludere chi si aspetta uno spettacolo teatrale al 100%. Magari da grandi faremo altro, ma è divertente far uscire cose quando ci vengono in mente.

Agli ultimi palinsesti Rai è stato annunciato il tuo nuovo programma per RaiPlay, "Conferenza stampa". 

È stato venduto come il nuovo programma di Valerio Lundini, ma di fatto non lo è. È una trasmissione ancora senza forma, un'idea di Giovanni Benincasa in cui compaio come co-autore, ma non ci sarò io che faccio cose e non so nemmeno se sarà comico.

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