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Techetechetè non è più lo stesso perché la nostalgia è in crisi

Nell’ultima stagione Techetechetè pare aver perso smalto e ispirazione, ma è davvero così? L’impressione è che una mutazione sia avvenuta nel pubblico, addomesticato all’estetica nostalgica che ha fatto la fortuna del programma negli scorsi anni, da cui oggi siamo sommersi. Non ha smesso di piacerci, ha smesso di sorprenderci.
A cura di Andrea Parrella
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Tina Turner, poi Ivano Fossati, un salto ai Depeche Mode e poi Dolcenera, Ornella Vanoni, Fred Bongusto, Sergio Caputo, Coez. Cos'hanno in comune questi artisti? È la domanda che mi sono posto guardando la puntata di Techetechetè del 31 agosto e non c'è Ghigliottina possibile che possa trovare un filo conduttore in questo giradischi casuale, di certo piacevole ma disorganico.

Che ne è stato del Techetechetè di una volta? La domanda ha spesso riecheggiato nelle sere dell'estate che volge al termine, mentre musiche di una volta soffiavano via dalle case arroventate per la calura. Premessa obbligatoria: chi scrive ritiene Techetechetè uno dei migliori prodotti televisivi delle ultime stagioni. La striscia dell'access di Rai1 è diventata un appuntamento fisso e simbolo della stagione estiva da alcuni anni a questa parte, vivendo un momento di splendore che ha portato Techetechetè alla trasformazione da contenitore di frammenti memorabili della Tv italiana riproposti in ordine sparso, a carosello di percorsi tematici che hanno permesso al pubblico di scoprire e riscoprire grandi protagonisti della storia dello spettacolo italiano e internazionale.

Detto ciò, nella stagione che si avvia alla chiusura, Techetechetè sembra aver smarrito quell'ispirazione che nelle precedenti stagioni aveva caratterizzato la costruzione delle singole puntate, concepite come viaggi verticali tra i momenti della carriera di personaggi più o meno noti, selezioni dai grandi programmi ed eventi della Tv italiana, sempre alla ricerca del dettaglio che tracciava un percorso di taglio nello sconfinato repertorio delle teche Rai. Una via per capire, non solo per rievocare.

Ma è davvero cambiato qualcosa in Techetechetè, o sono cambiati gli spettatori? Sarebbe riduttivo attribuire alla sola squadra di autori del programma la responsabilità di un calo di entusiasmo per la trasmissione, anche perché al netto di qualche defaillance come la puntata citata in apertura, non sono mancate quest'anno serate di Techetechetè potenti e commoventi, quella recente su Raffaella Carrà ne è un esempio. Cosa è successo, dunque?

L'impressione è che qualcosa sia venuto a mancare nell'impatto del programma sul pubblico. Techetechetè ha raggiunto il suo apice con l'esplosione definitiva della nostalgia come sentimento comune dominante, che ha dettato legge nella scorsa decade contaminando iniziative editoriali di ogni tipo, indirizzando la discografia, la cinematografia, la serialità televisiva, il marketing e la pubblicità.

Chi ricorda la scena magistrale di Mad Men in cui il protagonista, Don Draper, un pubblicitario nella New York rampante degli anni Sessanta, spiega ai clienti Kodak la potenza della giostra, tra i primi e più noti immagazzinatori di ricordi lanciati sul mercato? La nostalgia, è la risposta di Draper. È quello uno dei fattori che più impatta sulle persone, spiega il protagonista interpretato da Jon Hamm. Il dolore che deriva da una vecchia ferita, o semplicemente dal ritorno, suggerisce il significato etimologico di questa parola greca. L'efficacia della nostalgia come sentimento cruciale da innescare per la fortuna di un prodotto era già chiara più di 50 anni fa e nel decennio scorso ha vissuto una fase di particolare fortuna grazie all'emergere di nuovi strumenti in grado di riportare il passato, gli archivi, a una nuova luce. Vale per la digitalizzazione degli archivi Rai, come per i social.

Il 2023 non ha certamente segnato l'esaurimento di questa ondata, che continua ad essere determinante sul piano estetico ed emotivo. A provocare il tramonto della nostalgia, una sua curva discendente o una fisiologica stabilizzazione, è stato semplicemente il pubblico, che non smette di rincorrere il passato agrodolce, ma è addomesticato alla sua rappresentazione ed ha smesso di sorprendersi, come accadeva un tempo. Il bianco e nero spadroneggia tra i reel di Instagram, l'estetica passatista marameldeggia nel nostro scrollare quotidiano su Tik Tok. Quelle piattaforme che rapiscono la nostra attenzione per un paio d'ore al giorno hanno assimilato alla perfezione la funzione di immagazzinamento dei ricordi, che sono pane quotidiano. Di fatto, la nostalgia non ci sorprende più in una sua forma grezza, puntiamo alla sofisticazione.

Per tornare a Techetecheté, la striscia quotidiana di Rai1 ha spiccato il volo in un momento in cui gli strumenti digitali, banalmente internet, per quanto a un livello avanzato, non ci avevano ancora mostrato la gigantesca potenzialità della rievocazione personalizzata (che in particolare su piattaforme come Tik Tok è svincolata da stringenti regole su diritti e copyright e questo potrebbe diventare un tema). È per questo che, per ritrovare il proprio splendore, il programma di Rai1 farebbe bene a stare lontano dalla modalità jukebox, concentrandosi su nuove strade e trovate autoriali che scavino dei solchi definiti, creino valichi tra i ricordi generando percorsi tematici. L'iniziativa di Techetechetè Show con Flavio Insinna potrebbe essere una strada che va nella direzione di valorizzare dei contenuti inscritti in percorsi monografici come quelli di alcuni grandi artisti della musica italiana, elevando il materiale rispetto ad un flusso indistinto che rischia di disorientare e disaffezionare lo spettatore.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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