“Buonasera signore e signori, date il benvenuto sul palco a una persona che non aveva assolutamente bisogno di fare questa cosa ”. Così si apre SuperNature, il nuovo special di Ricky Gervais, lo stand up comedian britannico padre di The Office (l’originale) su Netflix. Si tratta del suo secondo spettacolo che la piattaforma della grande N propone ai propri abbonati, il primo era stato Humanity (2018).
Da allora è passata (forse) una pandemia, siamo nel mezzo di una guerra che minaccia di diventare mondiale col vaiolo delle scimmie ad approcciarsi come nuova minaccia e solo il tempo ci dirà se si tratti di un colpo di tosse di Dio o di una nuova piaga d’Egitto su scale globale. In tutto questo, nel frattempo in Italia abbiamo avuto un’edizione flash di Zelig agli Arcimboldi e lo special di Michela Giraud. Sì, ci mancava davvero farci una risata. E il comico nato a Reading, Inghilterra, nel 1961, non ha ancora perso la voglia di trovare gli esseri umani, flagellati dalla sfiga o meno, incredibilmente buffi. Pronomi e asterischi compresi. Ricky Gervais, in questi tempi incerti e spaventosi, è, senza alcun dubbio, il vaccino contro la mediocrità e l’orrore.
In carriera, eccezion fatta per l'acclamata serie After Life, ha dissacrato ogni cosa: l’Olocausto, l’AIDS, il suo stesso ex capo e i colleghi d’ufficio, i compagni di scuola delle elementari, i Presidenti degli Stati Uniti, le persone sovrappeso (“minoranza” di cui ha fatto parte per molti anni della sua vita), la morte, le guerre, quel Dio in cui non crede (è membro della National Secular Society) e oggi, in SuperNature, continua a farlo. Prendendo di mira anche la comunità LGBTQIA+ “per essere inclusivo”. Tutte queste imprese gli riescono usando la chiave comica che gli è sempre stata alleata: la verità. Che è dai tempi di Caterina Caselli che fa male, lo sai.
Con la verità Gervais ha sempre avuto un legame inestinguibile: era il 2009 quando uscì The Invention of Lying (Il primo dei bugiardi, oggi disponibile su Prime Video), film ambientato in un mondo in cui non è ancora stata inventata la menzogna e tutti dicono le cose come stanno. Immaginate una sciura che si avvicina teneramente a un passeggino e, una volta davanti al bebè, esclama alla coppia di genitori: “Ma vostro figlio è orribile, sembra un piccolo ratto!”. Nessuno se la prende, perché è davvero così. Provate a pensare come, quindi, in questa società pane al pane inventata da Gervais possano essere gli spot televisivi (“Pepsi: quando non c’è la Coca Cola”), i film (tutti basati su fatti storici piccoli o grandi, da Napoleone all’invenzione della forchetta letti da un Piero Angela in poltrona), l’amore.
Ecco, in SuperNature, Ricky Gervais usa questo stesso espediente per raccontare incongruenze e bizzarrie del nostro mondo, quello dove si mente e ogni giorno si inventano sovrastrutture sociali per “normalizzare” quanto nei fatti già accade quotidianamente. Lo stand up comedian, all’inizio e a più riprese durante lo show, spiega i meccanismi della sua comicità a un pubblico totalmente mesmerizzato. Anche se “spiegare le battute” è l’anti-climax per eccellenza, purtroppo o per fortuna, che il cielo sia azzurro, di questi tempi, è questione da argomentare. Da lì in poi è uno tsunami di scorrettezza che travolge in un maremoto di applausi e risa su temi che, solo a pensarli, farebbero chiudere in modo coatto i social di chicchessia. Da Trump a Pino il fornaio.
Ricky infrange le policy della community, rompe gli schemi, canzona l’intoccabile sapendo di andare incontro a un frontale (di critiche) ma solo per il sacro gusto di farlo. E lui, un “bianco etero privilegiato” che dichiara di far parte di una minoranza (“l’1 % della popolazione mondiale”) in quanto milionario lo fa perché in effetti può. Se domani lo bandissero dai social, dalle tv, dalle piattaforme streaming, perfino dai palchi per sempre, potrebbe in qualsiasi momento adottare la "tecnica Kevin Spacey”: comprarsi uno yacht delle dimensioni della città di Milano e provincia e prendere il largo. In questo caso, con la sua compagna Jane Fallon e i loro gatti. Au revoir.
Finché Gervais resterà a piede libero, però, continuerà a trovare divertente una scoreggia al funerale di un bambino, drammatizzando la gag in una mini-sceneggiatura irresistibile e interpretata con la faccia di chi sa che la sta dicendo grossa ma tant’è. Una battuta, come ben dice durante SuperNature, non rispecchia il pensiero del comico che la fa: lui, per lavoro, è chiamato soltanto a osservare le stranezze dell'essere umano contemporaneo per creare iperboli e paradossi, motori di risate e sketch sulla stupidità umana che tanto si complica la vita in nome di Dio o del trending topic. Figuriamoci quanto possa essere più facile oggi il suo compito quando è la stessa società a creare iperboli e paradossi fantasiosi: per divertire, è sufficiente annotarli e citarli ad alta voce, scandendo bene ogni parola che ne compone i concetti, su un palco.
Viviamo nell’iperbole distorta di un mondo che avrebbe dovuto essere migliore, invece, si ritrova suscettibile. Chi si può permettere di farlo, ha il dovere morale di esorcizzare la pesantezza, il tedio dei moralisti da tastiera, degli allarmisti del settimo tweet problematico, di chi crea apocalissi solo per una manciata di like e in più mente, mente per la maggior parte del tempo al solo scopo di diventare reginett* dei social, quegli stessi social che la gente in generale scrolla mentre siede amabilmente sul gabinetto.
Ricky Gervais è l’eroe SuperNature che non ha alcun bisogno di esserlo e che questo mondo di certo non invoca col Bat-Segnale, pur avendone disperatamente urgenza. Contro il logorio della vita moderna, Gervais è il carciofo brutto, sporco e cattivo che in un'ora di show rende l'umanità e le sue bizzarrie un buffo aperitivo tutto da bere con gli amici di sempre, fuori dagli schemi, dalle bolle social, dalle fastidiose inezie che flagellano il nostro quotidiano. L'unico Avenger che ci meritiamo davvero, nonostante il filtro Amaro.