Stefano De Martino: “Ho alimentato il gossip senza rendermene conto. Sanremo? Oggi direi no”
Stefano De Martino sceglie la seconda serata per il suo ritorno in Tv. Dopo avere ereditato la conduzione di Made in Sud e Stasera Tutto è Possibile, questa volta è il momento del primo programma interamente cucito addosso a lui. Bar Stella (Rai2, dal 28 dicembre alle 22.50) è il bar di famiglia esistito davvero a Torre Annunziata, riprodotto per l'occasione negli studi Rai di Napoli. "Una sperimentazione", così De Martino la definisce in questa intervista rilasciata a Fanpage.it, raccontando il primo programma firmato da autore che sa di Tv di una volta.
Bar Stella sembra prima di tutto un ritorno alle tue origini.
Quando devi sperimentare, il tema su cui fare le variazioni deve essere un tema che conosci bene, come nella musica con gli assoli. Non c'era nessun luogo più valido del Bar Stella che mi permettesse di sentirmi a casa. Ho ricostruito un posto familiare in cui avvengono le dinamiche di un bar italiano che è il bar di tutti. Anche se parlo di uno scenario che appartiene alla mia infanzia, credo che tutti abbiano avuto un Bar Stella nella vita.
Made in Sud, STEP, ora Bar Stella, tutti realizzati a Napoli. Il ritorno a casa per te è stato una rampa di lancio.
Sì io sono un emigrante al contrario, vivo a Milano e ho trovato lavoro a Napoli. Sono l'eccezione che conferma la regola e mi ritengo molto fortunato, perché il mio amore per questa città influenza molto il lavoro, soprattutto se è un lavoro che ha a che fare con la creatività. Trovarti in un luogo dove c'è un esubero di natura è un motore fondamentale. Ci sono delle cose che vengono meglio se fatte qua, questo è un programma che andava fatto a Napoli.
Come funzionerà Bar Stella?
Sarò il gestore del bar. Io e Riccardo Cassini che ha ideato con me il programma (scritto con Fosco D’Amelio e Francesco Velonà, collaborazione di Diego De Silva, ndr) abbiamo presentato Bar Stella come un "non-show" con la missione eccezionale di essere normale, ispirandoci dichiaratamente a Dalla. Da fruitori compulsivi ci siamo accorti che in televisione c'è un'inflazione del superlativo. Tutto è straordinario, le notizie sono sempre esclusive, gli ospiti eccezionali, ma la straordinarietà non la puoi definire se non c'è una pietra di paragone ordinaria. Nessuno si pone il problema di fare una cosa banale, normale. Volevamo fare questo, una sorta di melatonina televisiva che metta di buon umore senza essere impegnativa.
Bar Stella va in onda in seconda serata, fascia che ormai in Tv è quasi inesistente.
La caratteristica della Tv è essere vincolata a un orario di programmazione, una cosa che io trovo bella, perché se sai di andare in onda a quell'ora, moduli tutto in base a quell'ora. Mi piace pensare che le persone possano affidarsi a una programmazione, al fatto che un prodotto sia pensato per un momento specifico.
È ambizioso, soprattutto considerando che piattaforme come Netflix, Amazon e la stessa RaiPlay fanno del "lo guardi quando vuoi" una legge. Perché le persone dovrebbero guardare Bar Stella?
Sono il primo a guardare molto le piattaforme, l'unico vantaggio della televisione tradizionale è che non devi scegliere. Quando vai nei ristoranti con un menu vasto, rischi di perdere troppo tempo a scegliere e alla fine senti di aver scelto la cosa sbagliata. Io che sono uno abitudinario, che ama mangiare quasi sempre le stesse cose, apprezzo l'idea che il non dover scegliere diventi un vantaggio. Con questo programma proviamo a fare la Margherita, la cosa più semplice ma in un certo senso anche la più difficile.
Andrai in onda per quattro sere, una alla settimana. Per un programma che ambisce alla familiarità non sono poche e troppo distanti tra loro?
Bar Stella è un programma che viene concepito per essere quotidiano. L'idea iniziale era quella di andare in onda un mese all'anno tutte le sere. La rete ha avuto grande fiducia in me, mi ha detto di provare, sperimentare, mi ha concesso queste quattro puntate in un mese per vedere come andasse. Spero riesca per poi provare, magari, una formula diversa.
Sei oggettivamente un volto giovane della Tv, cosa pensi del grande problema di ricambio generazionale in questo settore?
Credo sia una cosa fisiologica. Il pubblico televisivo, in generale, è molto abitudinario. Ci sono tanti programmi che pare non piacciano a nessuno, ma intanto vengono guardati da tutti, come fosse un'assuefazione alla lamentela. Una simile assuefazione c'è verso i volti noti e più bravi, io stesso mi rendo conto di quanto le voci di Fabio Fazio, Amadeus o Gerry Scotti, siano così familiari da tranquillizzare. Al contrario, tutte le novità inizialmente hanno un effetto di rottura.
E per questo vengono rigettate. Pensiamo al recente caso di Da Grande con Cattelan.
Per quello che penso io, Alessandro ha tutte le carte in regola per fare questo lavoro, credo ci sia solo bisogno di tempo e, forse, di una somministrazione diversa. Torniamo alla metafora della ristorazione: se vuoi mettere un nuovo piatto in menu ti serve tempo perché i clienti si abituino e perché tu possa affinare quel piatto.
Hai mai avvertito ostilità nei tuoi confronti in quanto giovane?
Anche io, in qualche modo, non mi sono sentito subito accettato, forse nel mio caso mi ha aiutato il percorso televisivo precedente. Ho sempre percepito una sorta di adozione da parte delle persone che, quando mi vedono progredire, sentono sia anche un merito loro. Per il resto bisogna trovare il proprio ritmo, io dico sempre che la carriera televisiva non è quella del velocista, ma del maratoneta. Devi spezzare il fiato e correre il più possibile, se provi a fare subito il record del mondo, nessuno ti vede e, anzi, rischi di fare la figura del fenomeno.
Nel mondo dello spettacolo più si parla di te e meglio è. Tu, al contrario, dopo l'overdose di gossip, sei stato costretto a sottrarti. Che rapporto hai con la fama?
Fortunatamente, o sfortunatamente, ho avuto a che fare con una mega esposizione quando ero più piccolo. Questo ha fatto sì che adesso, a 32 anni, conosca abbastanza bene le dinamiche, ho capito anche quando inconsciamente alimenti delle cose e come si può tenere l'attenzione su quello che ti interessa. Avere scoperto presto queste cose ha comportato ovviamente degli errori di gioventù.
Per esempio?
Per esempio l'essermi sentito, spesso, in dovere di spiegare delle cose, senza capire che quello andava ad alimentare ancora di più la macchina. Oggi sono molto più a fuoco e sereno, in pace con quello che è il modo degli altri di parlare di quello che faccio. Percepisco che sia tutto più giusto.
Ti riferisci al fatto che far correre una voce, magari anche fasulla, sia talvolta più efficace che smentirla?
Più che altro bisogna essere consapevoli del fatto che se l'attenzione delle persone si sposta su una cosa, magari è perché sei tu che stai mandando un messaggio sbagliato. Si è anche complici di certe dinamiche, è inutile prendersela con il mondo. Se stai facendo un lavoro e in giro si parla della tua vita privata, forse dipende anche dal segnale che mandi tu agli altri.
Vieni dalla danza, pochi giorni fa Roberto Bolle parlava della discriminazione verso questa arte da parte delle istituzioni. Che ne pensi?
Che più in generale, al netto delle eccezioni, chi decide di campare di arte in Italia, soprattutto in questo momento, è un eroe che mette i propri ideali al di sopra della sopravvivenza. Mio padre, non a caso, mi diceva di non fare il ballerino. La cosa ha a che fare soprattutto con il nostro modo di guardare al mondo dello spettacolo, i lavoratori di questo settore che non sono visti come lavoratori. Tendiamo ad indignarci di più per la chiusura di una fabbrica che di un teatro.
Però il consiglio di tuo padre sul non fare il ballerino non lo ha seguito.
Mio padre era giovane al punto giusto da sapere che la cosa migliore per far fare quello che vuoi a un figlio è dirgli di non farlo.
Poi la danza l'hai effettivamente abbandonata.
Diciamo che ho trovato un'altra vocazione che mi permette di esprimermi meglio. La danza è un mio interesse, la seguo, ero un buon danzatore, ma detto tra noi credo che nessuno oggi sentirebbe l'esigenza di andare a vedere Stefano De Martino a teatro per la danza. Bisogna anche avere coscienza dei propri limiti. Diciamo che sono in tanti a chiedermi quand'è che tornerò a danzare e io dico che è meglio far sentire la propria mancanza anziché qualcuno che dica "ma questo sta ancora qui a ballare?".
Un progetto con Bolle in Tv per parlare di danza potrebbe mettere insieme le tue passioni?
Perché no? Poi come dico sempre, al pari dei musicisti i danzatori non smettono mai di esserlo. Fa parte di una cultura personale, di un approccio metodico alle cose che appartiene molto al mio modo di lavorare.
A Stasera Tutto è Possibile hai sostituito Amadeus, che non ha ancora spalle per Sanremo 2022. Sul palco dell'Ariston ti ci vedi un giorno?
Sarebbe un azzardo totale. Non credo di avere l'esperienza necessaria per gestire una cosa del genere. Sanremo ha un'attenzione troppo alta per andarci con la percentuale di fallibilità che ho io in questo momento. Per chi lavora in Tv è un po' come l'Oscar, te lo danno quando nella visione delle persone hai un gradimento molto ampio. Io sono sulla seconda rete e onestamente credo che se pure dovessi arrivare a Sanremo tra dieci anni sarei comunque uno dei più giovani di sempre.
Significa che se ti arrivasse la chiamata oggi saresti pronto a dire no?
Ora come ora sì, rifiuterei, perché per come la vivo io Sanremo deve essere il coronamento di una carriera. È difficile anche gestire il dopo Sanremo, che è così tanto da far diventare piccola qualunque cosa tu faccia dopo.
Vuoi aspettare che tuo figlio Santiago diventi maggiorenne, insomma.
Non sarebbe male, oggi ha 8 anni, quando io ne avrò 42 e lui 18 magari sarà la volta buona per portarlo con me a Sanremo. C'è tempo.
Con la Tv le cose sembrano andare bene, ma se un giorno non dovesse essere più così hai già un'alternativa?
Faccio un lavoro molto volatile, senza certezze, e vengo da una condizione di vita pregressa al successo che era molto precaria, quindi sono incline al pensiero costante del piano B. Questo fa sì che io mi goda ogni cosa in maniera diversa perché non do nulla per scontato. Ho ricordi felici della mia vita "off camera", per così dire, quello che mi ha sempre appagato è il contatto con la gente, che forse viene da questo bar di famiglia. Io non avevo bisogno di vivere la strada, perché era la strada che entrava nel bar. Questa cosa mi ha sempre dato soddisfazione e se dovesse mai essere, non ne farei un dramma.
Insomma, mal che vada sai fare i caffè…
Esatto. Scherzi a parte, so che cosa ti aspetta se va tutto male, quindi mi direi che "Ok, ho fatto un bel giro sulla giostra". Penso sia più difficile per persone che non sanno cosa significhi fare un lavoro normale. Se il mio lavoro mi dovesse stare stretto, o non dovesse andare bene, magari riapro il Bar Stella. O magari no. Chi può dirlo.