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Grande Fratello Vip 2021/2022

Sei mesi di Grande Fratello Vip, il successo e lo sfinimento

Dopo sei mesi si chiude l’edizione più lunga della storia del reality. Un trionfo indiscutibile di ascolti, frutto di un programma che ha cambiato completamente i suoi connotati rispetto a ciò che era in origine, capace di conquistare il pubblico con una mossa letale: sfinendolo.
A cura di Andrea Parrella
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Si chiude dopo sei mesi l'edizione più lunga della storia del Grande Fratello Vip (e del Grande Fratello in generale). Mai un reality di questo genere era proseguito per un tempo così lungo, passato dall'autunno all'inverno, sfiorando la primavera, allungando il brodo, riaprendo storie che avevano già raggiunto un epilogo, con una chiusura decisamente inaspettata.

È stato un successo? Sì, lo dicono i numeri, che oggettivamente certificano come questa edizione sia stata una manna dal cielo per Canale 5 ancora più di quanto fosse riuscita a fare la precedente. Gli ascolti parlano di un Alfonso Signorini rafforzato da questa esperienza, nonostante nel corso dei mesi non siano mancati gaffe e momenti controversi. La certificazione aritmetica viene prima di tutto, quando si parla di Tv commerciale questa è la prima regola e uno show che resiste con tale perseveranza per 49 puntate, portandosi appresso un pubblico compatto, mai impoverito ma semmai cresciuto nel tempo, è una sentenza sulla conferma del Grande Fratello Vip anche per la prossima stagione. Insomma: non prendete impegni per settembre.

D'altro canto, quella che si chiude con la puntata del 14 marzo è stata un'edizione che ha definitivamente cambiato i connotati di questo show. L'elemento reality ha ceduto il passo alla "soapizzazione della realtà", il programma si è retto interamente su una telenovela sentimentale scritta a tavolino (in modo egregio), spolpata fino all'ultima goccia, che ha tenuto incollato il pubblico allo schermo. Ma lo ha contemporaneamente sfinito, spossato, costringendo lo spettatore a rinunciare definitivamente ad ogni pretesa di verità. La spontaneità dei protagonisti al servizio di un canovaccio, la mutazione genetica definitiva di un reality entrato nel nostro quotidiano vent'anni fa, che evidentemente oggi può esistere solo essendo altro da se stesso.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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