Pif e lo speciale di Caro Marziano: “L’Olocausto è contemporaneo perché iniziò con piccole accettazioni quotidiane”
"Non è per morbosità che abbiamo scelto di raccontare tutto, senza filtri. Ma quando i fatti ti vengono sbattuti in faccia, quando ti racconto di Sergio che parte da Napoli sperando in un'estate tranquilla e invece entra all'inferno, allora cambia tutto". Pif parla con voce ferma mentre ripercorre il suo ultimo lavoro per Caro Marziano, in onda lunedì 27 gennaio su Rai3 alle 20.20, dedicato alla storia di Sergio De Simone, uno dei 20 bambini vittime degli esperimenti nazisti.
A Fanpage.it, Pif parla di come è arrivato a raccontare questa storia e dello stress subito nel lavorare da così tanto al montaggio di una storia sull'Olocausto. Inevitabile un parallelo con le dichiarazioni di Luca Marinelli su M.: "Ognuno entra nei panni di un altro, Marinelli è un attore straordinario ed è entrato nei panni di Mussolini, io ho montato queste storie". E sul duo Trump-Musk: "È singolare come, mentre montavo storie sull’Olocausto, aprivo i giornali e leggevo di braccia tese o atteggiamenti che rievocano ideologie passate".
Caro Marziano conclude il suo percorso per gli ottant'anni dalla liberazione di Auschwitz con una puntata dedicata alla storia di Sergio De Simone, proprio nel Giorno della Memoria. Qual è la storia di Sergio?
Sergio nasce a Napoli. La madre, rimasta sola e senza il marito, decide di trasferirsi a Fiume pensando fosse un posto più tranquillo, dove vivevano la madre e le sorelle. Purtroppo, Napoli verrà liberata qualche settimana dopo, ma loro erano già a Fiume. Durante l’estate, Sergio e gli altri bambini, Tatiana e Andra, vivevano momenti sereni, giocavano, ma poi furono deportati perché un italiano denunciò la loro famiglia. Da lì, la storia prende una piega drammatica. Sergio, insieme ad altri bambini, venne messo nella "baracca dei bambini", usata per esperimenti medici dal dottor Mengele.
Perché la storia di Sergio è diventata importante?
La storia di Sergio è importante perché rappresenta l’orrore vissuto da quei bambini. La responsabile della baracca, una sera, disse a Tatiana e Andra di non fare un passo avanti se il giorno dopo un uomo avesse chiesto "Chi vuole vedere la mamma?". Sergio, pur avvertito, fece il passo avanti. In un campo di sterminio, la fragilità di un bambino di sette anni lo portò a scegliere con il cuore, credendo davvero che avrebbe rivisto sua madre. Invece, insieme agli altri 19 bambini, fu vittima di esperimenti atroci sulla tubercolosi e infine ucciso. Questo ci fa capire che fascismo e nazismo, che si presentano come modelli solidi, maschi, vincente, in realtà si distinguono per la codardia. Un codardo ha denunciato una famiglia ebrea, solo perché ebrea, un codardo convince venti bambini con un escamotage ignobile. È tutta una storia di codardia, lo dico anche nella puntata. Sono codardi tutti. Questi bambini, però, dimostrarono un coraggio straordinario: volevano solo rivedere le loro madri.
Come si conclude la storia di Sergio?
Sergio e gli altri bambini furono portati a Neuengamme, un campo di lavoro, dove un medico tedesco, Kurt Heissmeyer , ambiva a diventare un medico importante e trovare il vaccino sulla tubercolosi. Lui insiste su esperimenti già falliti in passato, iniettando la tubercolosi a questi bambini. Arrivano gli inglesi e i tedeschi distruggono tutte le prove. Prendono i bambini, li portano in una scuola ad Amburgo dove, sempre con il pretesto di "vedere la mamma", furono uccisi. Prima gli venne iniettata della morfina, poi vennero impiccati, dato che i loro corpi erano troppo leggeri, per completare l’orrore, un tedesco tira le gambe dei bambini per strangolarli completamente. Alla fine, i loro corpi furono bruciati nei forni crematori per eliminare ogni prova. Oggi, quella scuola ad Amburgo ha un giardino e un museo che raccontano questa storia.
Noi vedremo tutto questo?
Vedremo tutto. Abbiamo scelto di essere nudi e crudi, di andare dritti, non per morbosità, ma perché se i fatti non ti vengono sbattuti in faccia, ti colpisce, ma se ti racconto tutto, in questo caso di Sergio che parte da Napoli, crede di fare un'estate rilassata ed entra invece all'inferno, allora cambia tutto.
Da più di un mese stai lavorando a questa serie di Caro Marziano sull'Olocausto. È inevitabile fare un parallelo con Luca Marinelli e la sua sofferenza nell'interpretare Mussolini.
Ognuno entra nei panni di un altro, Marinelli è un attore straordinario ed è entrato nei panni di Mussolini, io ho montato queste storie. Non capisco le polemiche, tra l'altro l'ha fatto, l'ha interpretato e ha detto una cosa umanamente comprensibile. Capisco la difficoltà emotiva nel calarsi nei panni di un personaggio come Mussolini, un codardo e uno stupratore che portò l’Italia nel baratro. È umano che Marinelli abbia espresso quel disagio. La sua interpretazione, comunque, è stata eccellente e professionale. Polemiche del genere sono infondate: immedesimarsi in un tale personaggio non è semplice, ma fa parte del lavoro di un attore.
Sul saluto romano di Elon Musk e il clima politico globale?
È singolare come, mentre montavo storie sull’Olocausto, aprivo i giornali e leggevo di braccia tese o atteggiamenti che rievocano ideologie passate. Capisco che tutto quello che è stato in passato non è un capitolo chiuso. Non si tratta solo di Trump o di altri politici, ma del pericolo che certe cose tornino gradualmente normali. Le atrocità del nazismo non sono iniziate con le camere a gas, ma con piccole accettazioni quotidiane di cose inaccettabili. Ci dobbiamo focalizzare su come sia iniziata tutta questa storia. È una cosa lenta. Il rischio non è il ritorno di un nuovo Hitler, ma l’abbassamento costante della nostra soglia di tolleranza verso l’odio e la disumanità.
Puoi fare un esempio concreto di questa "normalizzazione"?
Sì, ad esempio, durante l’amministrazione Trump, nel 2018, separavano i bambini messicani dai genitori e li mettevano in gabbie. I bambini erano disperati perché non vedevano i genitori per giorni. Questa pratica si fermò solo grazie all’indignazione pubblica, ma se non ci fosse stata, quella sarebbe diventata normalità. Persino la famiglia Bush, a un certo punto, disse di no. Se non ci fosse stata l'indignazione, quella sarebbe stata la normalità. Quella normalità sarebbe stata sempre più grave, si poteva dire: facciamo un campo per organizzare tutto in modo efficiente. Poi, magari qualcuno si sarebbe comportato male e l'avrebbero ucciso sul posto. Allora, meglio urlare subito che c'è qualcosa che non va. La nostra attenzione deve concentrarsi su come queste cose iniziano, non solo su come finiscono. L'Olocausto è un fatto contemporaneo, è successo tanti anni fa, ma è contemporaneo ai tempi.
Tornando a Musk, c'è un corto circuito nel quale non abbiamo più chiari i riferimenti: lui fa il saluto romano, poi sostiene Israele. Che a sua volta, però, fa quello che fa a Gaza. Che sta succedendo?
È evidente che sono saltati tutti gli schemi, soprattutto per la mia generazione che ha maturato le prime idee politiche dopo la caduta del muro di Berlino. La realtà è che all'epoca, la Guerra Fredda, ti dava un equilibrio. Io sono stato il 25 aprile a Milano, l'Anpi mi aveva dato questo onore di parlare in piazza e c'erano i Pro Gaza che hanno allontanato quelli dell'Aned. Parliamo dell'associazione dei deportati dei campi di concentramento e sterminio, parliamo quindi di ebrei, sinti, omosessuali, prigionieri politici. Quelli Pro Gaza fanno benissimo a protestare, ma davano dei fascisti all'Aned. E se penso agli americani, quanti soldati sono morti per mano dei nazisti? E Musk fa un saluto romano nella cerimonia d'insediamento? Come si fa a non ricordare tutti quei morti? Ecco, allora durante la Guerra Fredda avevi le idee più chiare. La destra italiana difende a spada tratta Israele, cosa che prima non accadeva. Putin è difeso dalla Lega, che è un comunista che viene dal KGB. Sarà la vecchiaia, però comincio a non capire più una minchia.
Da dove nasce l'amore per lo stile documentaristico?
Pura curiosità. Quando mi capita di arrivare in un posto, mi incuriosisce una persona e allora faccio le stesse domande che farei con una telecamera in mano. È una cosa che mi ha dato lo stipendio. Incontrai Zucchero in Australia e, alla quarta domanda, lui mi fermò per dirmi: "Ma mi stai facendo un'intervista?". Lui non capiva se io stavo lavorando o meno, ma in realtà il mio lavoro è la mia curiosità.
Se dovessi inquadrare dei maestri? O persone a cui senti di dovere un "grazie".
Lo devi dire più volte un "grazie". Se mi giro, capisco che ne devo dare molti. Sicuramente c'è Davide Parenti, che è stata una scuola. Sono arrivato a Le Iene con un mio stile, ma poi ne ho assorbito un altro. Poi, c'è Mario Gianani che mi ha dato la possibilità di fare film. Poi c'è tutto quello che mi porto dentro, penso a Nanni Loy, penso a Piero Chiambretti che con Il Portalettere sicuramente mi ha formato.
Dopo "Caro Marziano" che succede?
Sto scrivendo un film. Ma c'è un altro "Caro Marziano" dietro l'angolo. Spero anche di riprendere con "Il Testimone". Prima o poi, però, finirò perché il braccio comincia a sentire difficoltà.
Vabbè, ci sono sempre le Ray-Ban della Boccia.
No, grazie (ride, ndr) perché io ho bisogno dello zoom.
Questo "Caro Marziano" è stato realizzato durante la Rai di Giampaolo Rossi e Roberto Sergio. Ci sono state pressioni?
Io ho la fortuna di poter dire che, nonostante i tempi, ho sempre avuto la grande apertura di fare quello che voglio. Nessuno mi ha mai detto cosa fare. Non c'è stato un momento, anche in puntate più critiche e delicate, che qualcuno abbia detto: "No, questo non si può dire". È una delle cose più importanti per chi fa il mio lavoro.