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Mara Venier costretta a leggere il comunicato pro Israele in diretta è la Rai che umilia se stessa

Quanto andato in onda a Domenica In è un fatto che va oltre il momento meme, si tratta di un’istantanea che rischia di allontanare definitivamente dalla Tv, quindi dalla Rai, chi dalla Tv ha preso le distanze, o non si avvicinerà mai. Dispiace sia finita coinvolta la conduttrice, da anni collante televisivo tra diverse generazioni.
A cura di Andrea Parrella
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Quello che è andato in scena a Domenica In nella puntata sanremese dell'11 febbraio è tra i momenti di televisione più tristi e imbarazzanti registrati nella storia recente. Di scene poco edificanti trasmesse dal servizio pubblico italiano ne è pieno l'universo meme, stralci e frammenti che nel corso degli anni hanno dato forma a quel pregiudizio, spesso stressato e cavalcato, nei confronti della Rai. Qui, però, siamo oltre.

È un attimo come quello della giornata di ieri pomeriggio a lasciare completamente basiti, sconcertati, tracciare davanti agli occhi quei limiti impercettibili che non andrebbero mai superati. Sono momenti come quello in cui Mara Venier tiene tra le mani una cartellina con su la scritta Domenica In e legge il comunicato pro Israele dell'amministratore delegato Roberto Sergio a definire una distanza incolmabile tra la Rai e le nuove generazioni, che includono sia quelle già vecchie che hanno perso contatto con il piccolo schermo da tempo che quelle che non ci si avvicineranno mai.

Un comunicato, quello di Sergio, allucinante soprattutto per i tempi e i modi che danno vita al capolavoro di rendere inopportuno un contenuto di per sé legittimo, ma del tutto pretestuoso in quella circostanza, imposto come una forzatura e quindi violento. L'amministratore delegato della Rai che manifesta solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica come a dover difendere l'onorabilità dell'azienda da gesti, azioni e parole inopportune che non ci sono state. E lo fa intervenendo dall'alto, come un Grande Fratello che osserva tutto, mettendo Mara Venier nella condizione non solo di dover leggere, ma anche di dover condividere il contenuto del messaggio dicendosi d'accordo da parte di tutta la Rai.

Il tema è urgente ed è stato il sottofondo dell'intera settimana sanremese, dove le parole Gaza e Palestina sono state di fatto impronunciabili, come testimoniano le uscite di artisti come Ghali, Dargen D'Amico e Ramazzotti, che pur esponendosi sul palco con frasi come "stop al genocidio" e invocazioni a cessate il fuoco, non hanno mai fatto chiaro riferimento a quello che sta succedendo in Medio Oriente. E pure, nonostante appelli pacati ed educati, come ha precisato Roberto Saviano in questo editoriale, da Rai è arrivata una risposta che, più che rivolta a Ghali, Dargen e gli artisti sul palco, pareva stimolata unicamente dalla reprimenda dell'ambasciatore israeliano a Roma che aveva aspramente criticato Sanremo, accusando la manifestazione di diffondere odio e propaganda.

Delude soprattutto che in questa vicenda sia stata coinvolta la stessa Mara Venier, una conduttrice che negli ultimi anni ha rappresentato, dal punto di vista televisivo, un collante generazionale tra più e meno giovani, sdoganando volti noti figli dell'era digitale al pubblico televisivo tradizionale e avvicinando i più giovani alla tradizione grazie a uno stile che, piaccia o no, funziona. Ciò che è successo domenica 11 febbraio, che verrà ricordato a lungo, non è solo una dimostrazione di asservimento a un messaggio preciso, della dirigenza Rai eterodiretta dalla politica che interviene in trasmissione quando le cose non vanno come dovrebbero, dando un calcio a qualsiasi forma di liturgia televisiva e libertà d'espressione.

Quanto accaduto è un'umiliazione che la Rai infligge a se stessa, distruggendo un complesso lavoro di ricostruzione della sua credibilità e di un avvicinamento a quel pubblico fuggito dalla televisione e quello che non ci sarebbe mai avvicinato e, forse, non ci si avvicinerà mai.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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