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Opinioni

L’illusione che con l’addio di Barbara D’Urso termini la dittatura del trash in Tv

Dopo anni trascorsi a definire D’Urso il male della Tv e a travisare il concetto di trash, considerandolo sinonimo di brutto e indegno (ma attraente), ora crediamo che con l’addio a Mediaset della conduttrice, la televisione sia salva dai suoi mali. Non è così.
A cura di Andrea Parrella
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Nel movimentato telemercato di questa estate la notizia più succulenta è stata senza dubbio quella dell'uscita da Mediaset di Barbara D'Urso. Un addio più volte ventilato negli anni scorsi, con un progressivo arretramento della sua posizione dominante in azienda, per poi arrivare a questa rottura affatto indolore, cui sono seguite anche delle polemiche da parte della stessa conduttrice. Una fine, quella dell'era D'Urso, che è stata una sorta di speranza covata di nascosto in questi anni, per liberare la televisione da tutti i suoi mali. "Che trashume", si è detto di D'Urso negli ultimi anni, identificandola come icona dell'inguardabile, regina consapevole di un genere, simbolo di un'era. Barbara D'Urso, però, non è stata simbolo di nulla.

Il trash televisivo non è nato con lei. Non è stata lei a coniare questo concetto culturale per la verità complesso, che da anni utilizziamo impropriamente per definire quello che non ci piace, o forse ciò che ci attira senza poterlo ammettere. Il trash è dittatura, ma in fondo è anche schiavitù. È una definizione di cui, in relazione a lei, ci si è serviti impropriamente per anni, in modo sbrigativo, vestiti di un pregiudizio estetico, rinfrancante, che si è sostituito alla sensibilità. Dire "trash" metteva dalla parte corretta del tavolo, qualificava i giusti in una conversazione.

Barbara D'Urso è stata inspiegabilmente eletta a regina di questo genere, quindi dei mali della Tv. Una Tv che lei non ha cambiato, a differenza di chi lo ha fatto davvero negli ultimi vent'anni (non serve nomi, basta guardare i palinsesti, non solo di Mediaset, da anni). Barbara D'Urso non ha inciso sul vocabolario, sui comportamenti, le pose estetiche, le espressioni. Ha solo esagerato, nella pretesa illusoria di diventare un riferimento, ha perso il senso della misura perché chiamata all'impossibile. Spremuta da un'azienda, Mediaset, in questo responsabile, che l'ha stimolata a forzare i confini della presunta decenza in nome di un profitto mai negato.

È diventata un meme perché emulazione fallita di modelli più alti ed è quello che resterà, al netto di una possibile riabilitazione presso qualche altro lido televisivo più incline alla sobrietà. Ma no, la televisione di oggi non è così per colpa di Barbara D'Urso, il suo divorzio da Mediaset non è una liberazione per noi telespettatori che da oggi potremo finalmente tornare a identificarci in un mezzo quotidianamente fatto a pezzi da un moralismo estetico. Abbiamo confuso il trash con il brutto ed è questo, semmai, che ha inciso sulla televisione che ci siamo addomesticati a guardare, convinti che non potesse esserci fascino in Marcella Bella che canta L'importante è finire di Mina davanti a Cristiano Malgioglio "freezato" e commosso al GF Vip, che Gigi D'Alessio costretto da Morgan a cantare i Gorillaz a The Voice fosse cosa di cui ridere e basta e non un momento di grande contaminazione, che Temptation Island sia solo la rappresentazione dei nuovi mostri e non abbia incarnato, anche solo per un secondo, un'esperienza personale vissuta all'interno di una relazione sentimentale.

Tutto quello di cui era sconveniente parlare, pur essendo sulla bocca di tutti, è stato tutto uniformato a trash. E noi lì a guardarlo, producendo una contraddizione inspiegabile tra ascolti e gradimento che rende la televisione ciò che è: un mezzo costretto ad essere qualcosa di diverso da sé per essere dignitoso. È tramite questa boria che abbiamo reso un mostro una conduttrice anche assai capace. Era semplicemente trash, ma non abbiamo mai capito di cosa stessimo parlando.

Con la chiusura presunta di questa dittatura, la caduta di colei che abbiamo eletto a responsabile della decadenza televisiva, ci illudiamo che sia tutto finito, che la televisione si avvii a una palingenesi, una rivoluzione. Non è così perché il trash non è solo una dittatura, ma anche una dipendenza, un linguaggio che è ormai è entrato nel nostro Dna, un blob che si è insinuato nei nostri smartphone, cui la Tv fornisce materiale in maniera copiosa. Insomma, non possiamo più farne a meno e la responsabilità non è di Barbara D'Urso.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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