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Opinioni

Le dirigenze e i governi passano, ma la Rai resta (e muore)

La presunta censura di Antonio Scurati da Serena Bortone, il dibattito sull’aborto con soli uomini a Porta Porta. E poi imbarazzi, gaffe, perdita di pezzi importanti, comunicati che sembrano rebus. Da mesi la Rai è ostaggio di una gestione folle che sta facendo emergere tutte le problematiche storiche dell’azienda. Il problema non è solo la politica, ma la sensazione di una dirigenza incompetente e indifferente ai segni profondissimi che lascerà in eredità al servizio pubblico.
A cura di Andrea Parrella
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Ormai è un appuntamento quotidiano, una rubrica giornaliera: la Rai e i suoi imbarazzi, la Rai che perde pezzi. Il caso del dibattito sull'aborto con soli uomini, l'addio di Amadeus e l'incapacità di trattenerlo, la cancellazione delle repliche estive di Report, lo stop all'intervento di Antonio Scurati sul 25 aprile nel programma "Chesarà…" di Serena Bortone. Sono solo i casi più recenti che hanno procurato imbarazzi alla Rai e da soli potrebbero descrivere il quadro di un'azienda in stato comatoso, ostaggio di dettami politici figli della volontà di obbedire a una logica di riordino del pensiero comune.

È sempre successo, dirà qualcuno, perché che la Tv pubblica in Italia sia esercizio di potere, è un dato di fatto per legge, lo ricordava in un'intervista a Fanpage.it Carlo Freccero. Dal 2015 la riforma Rai prevede che l'azienda sia decisa dalla maggioranza e a stabilirlo è stato un governo di centrosinistra, quello di Renzi.

Basta politica in Rai, si potrebbe ripetere stancamente, ma il problema di quanto sta avvenendo da mesi a questa parte non è solo l'ingerenza politica, ma il gesto sgraziato, la sensazione che l'attuale dirigenza si muova come un elefante in una cristalleria. Non c'è cosa che accada che non sia riconducibile alla narrazione di una Rai eterodiretta. Fossero anche frutto di una sana invenzione o ricostruzione originale – vedi le richieste tra il fantasioso e l'assurdo che la Rai avrebbe fatto ad Amadeus nei mesi scorsi – le sorti dell'azienda paiono decise da persone manovrate, ma soprattutto incapaci di gestire una macchina che sta mostrando tutti i tratti di una balena morente, divorata della sua carne e destinata a perire.

L'esercizio di questa propaganda è il frutto di un preciso piano ideologico rancoroso, pieno di un livore che vuole ristabilire chissà quali princìpi, rimettere chissà quale chiesa al centro di chissà quale villaggio e che non produce altro che contenuti di ripicca, embedded, dall'aspetto scadente anche se magari buoni, perché appunto comandati. Oppure, al contrario, emergono programmi che vanno in direzione opposta e sono quindi accompagnati dalla retorica dei nuovi potenziali esiliati, quelli che la Rai è già pronta a fare fuori.

La macchina va avanti ma sembra non funzionare nulla, ogni giorno c'è un motivo di contestazione e la quantità di casi quotidiani di imbarazzo, con conseguenti uscite ridicole della dirigenza, sono segno di un'azienda debole, quasi allo sbando. Pensiamo solo all'ad Sergio che chiede con solerzia provvedimenti disciplinari per il giornalista che scherza involontariamente in onda sulla figlia di Fiorello, ma non apre bocca se Bruno Vespa fa un approfondimento sul tema aborto con 7 uomini in studio e senza nemmeno una donna. Ora il caso dell'ospitata mancata di Scurati da Bortone, che già subodora di censura e alla quale arriva una risposta del direttore Corsini degna di un rebus, in cui non si intuisce nulla dell'accaduto, e che quindi anziché spiegare confonde ancora di più.

Un segnale emblematico della totale imperizia nella gestione di situazioni delicate come questa, o forse sintomo dell'indifferenza rispetto ai danni provocati. Perché la verità è che la Rai, salvo eccezioni che restano tali, è sempre stata e sempre sarà un oggetto ad uso e consumo di turnisti della politica, il più delle volte disinteressati al patrimonio e alla storia del servizio pubblico. Le dirigenze e i governi passano, ma la Rai resta (e muore). "La politica non rinuncerà mai alla Rai, è una rivoluzione impossibile", aveva detto Fazio in una dichiarazione successiva alla sua uscita dall'azienda. Forse aveva ragione.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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