I cattivi sono sempre più interessanti e non solo per cercare di capire se lo siano veramente. La nuova edizione di Belve, lo scomodissimo talk di Francesca Fagnani, è tornata su Rai 2 con una prima puntata da ola da stadio. Ospiti Wanna Marchi ed Eva Robin's, il paragone calcistico non è casuale. Per chi è appassionato di interviste, seguire Belve è come vedere una partita della propria squadra del cuore in tv. In Champions. O l'Italia ai Mondiali. Il ritmo è serrato, le domande incalzanti cercano in ogni modo di rompere il muro della difesa dell'avversario per arrivare in rete. Dove la rete, in questo caso, è una risposta sincera, onesta, fuori dalla posa personaggio, dentro al cuore della persona.
Per farlo, la conduttrice-numero 10 Francesca Fagnani, fa qualcosa di impensabile ai giorni nostri: ascolta le risposte di chi ha davanti. Ha la sua scaletta con le domande affilatissime e frutto di grande ricerca redazionale, certo. Ma non si perde un'esitazione, uno scappellamento a destra, un cliché che fuoriesca dalla boccuccia dell'ospite. Non si accontenta, mai, di una figura retorica come bella, superficiale bugia e, anzi, vede in quella verità non detta, l'occasione per attaccare, per entrare nella profondità di chi ha di fronte. E fare goal.
"Mi dicevano tutti di darmi malata perché lei è cattivissima", così perfino Wanna Marchi tenta di "teleimbonirla", forse sperando in una maggiore clemenza. Quante volte ci è capitato di assistere inermi a un programma tv, sentire dichiarazioni insostenibili o palesemente preconfezionate e pensare a cosa andassero blaterando con così tanta convinzione. Molto spesso, il problema è che tale quesito non se lo pone nemmeno chi è in studio a tenere il timone della trasmissione. Così sontuose boiate e narrazioni stantie finiscono in cavalleria, per lo sgomento dello spettatore e la pigrizia manifesta del conduttore di turno. Francesca Fagnani non lo permetterebbe mai. E mai lo permette.
Seguire Belve, questa edizione con appuntamento "tris" martedì, mercoledì e giovedì sera nella seconda serata di Rai 2, fa riconciliare non solo con il giornalismo italiano, ma anche con l'arte della conversazione. Fagnani, grazie alla sua aria sorniona e quel "sorrisetto da stron*a" sembra passare leggerissima da una domanda all'altra, ma in mezzo c'è la magia dell'affondo (non molla la domanda fino a che non ottiene una risposta onesta), il dileggio che anche noi da casa faremmo davanti a una supercazzola o a un'affermazione che sembri arrivare da Narnia. Lo fa anche solo con un piccolo ma cruciale "Eh, certo" di rimando che lascia intendere all'ospite, fatto appollaiare su uno sgabello volutamente scomodissimo, che la sua maschera sta saltando e non se la caverà tanto facilmente. Una goduria.
Quello che Franca Leosini è per il giornalismo investigativo, per quanto post, Francesca Fagnani è per quello di costume: una regina ben consapevole della propria corona ma, allo stesso tempo, conscia delle necessità del proprio popolo: se questo ha fame, lei non si accontenta certo di propinargli brioche. E le brioche, smielate lodi sperticate glassate di buonismo ferale da buongiornissimo caffè, sono fatte della stessa sostanza di quello che è oggi il giornalismo nostrano, soprattutto nelle interviste a personaggi che, nel bene o nel male, fanno parte del gossip, della società, del "superfluo" de noartri.
Invitare Wanna Marchi per la puntata d'esordio non era sfida da poco. E per quanto questa prima intervista si sia chiusa con un sostanziale pareggio, la tensione del match è il vero motivo per cui non è possibile non restare mesmerizzati da questa chiacchiera tra Belve di prima fascia. A prescindere da ciò che si pensa del personaggio. Nei tradizionali fuorionda di fine puntata, vediamo Wanna piangere, per davvero forse è la prima volta, in ricordo del compagno venuto a mancare.
Eva Robin's è stata, invece, un azzardo di tipo diverso: non un nome sulla bocca di tutti di questi tempi, ma, ancora una volta, una persona con una storia. Una vita incredibile che, per sua stessa ammissione, non era mai stata raccontata in modo così dettagliato: gli abusi infantili, il meretricio giovanile per portare soldi col benestare della madre, alcolista, che aveva pur messo al mondo quattro creature. Poi il soft-porno, l'esibizione, Paolo Villaggio e la moglie che la inseguivano nottetempo per un menage e trois. "Ma in tre si è in troppi", asserisce la regina della trasgressione, non dimenticando di rispolverare una certa, mai sopita, animosità nei confronti di Amanda Lear.
Belve non è un capolavoro di cattiveria, come spesso viene definita la tenacia inquisitoria di Fagnani, ma d'ascolto. Non è, infatti, nelle domande ma nelle risposte che si trovano i tesori migliori, quei piccoli non detti, le ellissi e i sottintesi su cui focalizzarsi per portare a casa una conversazione che non sia il semplice giustapporsi di due fogli di calcolo. In un mondo in cui a dominare è il mercato del pesce, ossia la gara, dai social alla tv, a chi grida più forte per farsi notare, Francesca Fagnani compie il miracolo della misura, riportando la conversazione a un piano di realtà concreto con cui è impossibile non entrare in empatia, non ritrovarsi a fare il tifo, di affondo in affondo.