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In Tv i 40enni sono ancora “giovani”, intrappolati in una definizione che consola solo lo spettatore

Cattelan, De Martino, Ceran, Delogu, Priello, in questa stagione televisiva molti volti “giovani” si prendono il loro spazio in Tv. Ma giovani per chi? Tutti oltre il target 15-34, imprigionati in una definizione funzionale al bisogno di chi guarda, meno a definire la realtà di professionisti che fanno questo lavoro da anni.
A cura di Andrea Parrella
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La notizia di Alessandro Cattelan alla guida del Dopofestival e di Sanremo Giovani è di quelle per le quali molti ammiratori avranno certamente esclamato "era ora!". D'altronde sono anni che il conduttore piemontese viene associato a un lucente avvenire destinato allo show televisivo più atteso dell'anno.

La scelta di Carlo Conti di puntare su Cattelan si inserisce alla perfezione nella logica di una televisione che dà spazio ai giovani, scenario in cui il 44enne Alessandro Cattelan viene sostanzialmente identificato come una sorta di esordiente, qualcuno in cerca di consacrazione, nonostante faccia questo lavoro da vent'anni ed abbia ben poco da imparare sul come si conduca uno show.

Quella iniziata da poche settimane è una stagione televisiva in cui sono molti i volti "giovani" che abbassano drasticamente la media anagrafica dei conduttori, in particolare in Rai. Dal 35enne Stefano De Martino che rimpiazza Amadeus ad Affari Tuoi, alla 37enne Mia Ceran che prende il posto di Massimo Bernardini a TvTalk, fino al ritorno alla conduzione in solitaria di Andrea Delogu, 42 anni, nel pomeriggio di Rai2 e la conferma di Ciro Priello e Fabio Balsamo a The Floor, su Rai2.

Di nomi ce ne sarebbero altri, ma più che i casi specifici, a colpire è un tratto comune di quelli elencati: nessuno tra loro rientra nella fascia d'età 16-34, che definisce generalmente il campione statistico dei giovani. In sostanza definiamo giovani coloro che giovani non sono, e non per colpa loro. Che questa definizione vada un po' stretta lo aveva detto Mia Ceran in un'intervista a Fanpage.it alcune settimane fa: "La presunzione di gioventù superati i 35 anni mi fa molto sorridere, la trovo un po' fuorviante. Per me è un'età di grande consapevolezza dal punto di vista professionale". La Tv vuole la sua esperienza, certo, non ci si atterra all'improvviso e senza conoscerla, ma allora da dove proviene questo retaggio culturale?

A definire la Tv, in fondo, è chi la guarda. Il pubblico della Tv generalista è composto prevalentemente da over 60, mentre scarsissima è la presa sulle fasce di pubblico adolescente, il cui consumo è rivolto prevalentemente a piattaforme e social, caratteristiche che per certi versi escludono dall'interesse della stessa Tv. Cosa resta? La terra di mezzo, che diventa pregiatissima non solo dal punto di vista commerciale e quindi pubblicitario (dai 30 in su si spende molto più di quanto non si faccia prima) ma proprio nell'ottica di una sopravvivenza del mezzo televisivo, il suo futuro, come aveva detto Stefano De Martino in questa intervista. Identificare come nuovo ciò che proviene dal mondo degli over 30 è insomma utile sia per chi nel conduttore coetaneo intende rivedersi e percepirsi giovane, ancora in gioco e nel pieno delle proprie facoltà, in fondo agli inizi, sia per chi, più in là con l'età, identifica il giovane percependosi a lui ancora vicino, in grado di capirne i codici espressivi.

Il rischio, manco a dirlo, è quello di imprigionare intere generazioni di professionisti in una definizione anacronistica. Un conto è rimanere sempre giovani, cosa impossibile, altro è sentirsi giovani sempre. E questa è ben altra cosa.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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