A due anni di distanza dal grande successo della prima stagione, tornano su Rai1 i nuovi episodi de Il commissario Ricciardi, la fiction tratta dal personaggio più amato tratto dalla penna vincente di Maurizio de Giovanni. Con Ricciardi, interpretato da Lino Guanciale, sono tornati anche i personaggi comprimari che hanno vissuto giorni davvero luminosi nel frattempo, culminati persino in scritture teatrali ad hoc. È stato il caso del brigadiere Maione (Antonio Milo) e del suo informatore, il femminiello Bambenella (Adriano Falivene), tornati a teatro con “Mettici la mano”, una sorta di spin-off che ingrandisce e alimenta l'universo narrativo di Ricciardi.
Le impressioni dopo il primo episodio di questa seconda stagione, che la Rai ha messo a disposizione sulla piattaforma RaiPlay già da sabato, è che sia stato fatto un passo indietro generalizzato sul piano produttivo. Una retromarcia inspiegabile che, dopo l’ottimo lavoro fatto nel 2021 cercando di elevare il fenomeno Ricciardi a una complessità – movimenti di macchina, fotografia, scrittura soprattutto – tipica della serialità contemporanea, porta questo prodotto ad affacciarsi inevitabilmente con la fiction del passato.
Il peccato più grande è che sembra quasi sia stato fatto di proposito, considerato che il commissario Ricciardi ha dimostrato il potenziale devastante anche per la televisione lineare, se messo nelle mani giuste. Nella precedente stagione, ogni fotogramma sembrava ripetere ossessivamente la dedizione e la volontà di restare il più possibile fedeli alle atmosfere del libro. Questa volta, invece, sembra quasi che abbiano voluto cercare di fare di tutto pur di annacquare quel risultato. Un autogol, considerato che più si va avanti più ci si ritrova la pressione nazifascista addosso: la Napoli di Ricciardi, per questo, avrebbe potuto essere ancora più intensa e oscura.
Il confronto tra il primo episodio di questa stagione e il primo della precedente, per ora, non regge. Anche la scelta di adattare uno scritto minore di Maurizio de Giovanni (“Febbre” incluso in “L’ultimo passo di tango” per Einaudi, 2017) non paga. I canoni del giallo classico ci sono. Chi ama giocare dal principio a indovinare l’assassino, troverà soddisfazione. Quanto al risvolto che cambia le carte in tavola della detection story, è messo in scena svogliato. Le tinte del melò restano intatte, anzi si rafforzano verso un’ulteriore complicazione dato l’ingresso di una nuova tentazione per il commissario, la contessa Bianca Borgati di Roccaspina di Fiorenza D’Antonio che si unisce a Livia (Serena Iansiti) e alla dolce Enrica di Maria Vera Ratti, ora insidiata dalle lusinghe del Maggiore tedesco Manfred. La quota ‘mistery’ resta confinata al potere sovrannaturale di Ricciardi mentre è completamente sparita nei suggerimenti di quella Napoli noir che avevamo apprezzato nella prima stagione. Ora, è una città diluita, artefatta, poco sentita. Che peccato, commissà.