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Opinioni

Il caso Yara è la docuserie che riapre tutti i dubbi sul processo e sulla colpevolezza di Bossetti

La volontà di creare un mostro e la mancanza di indagini approfondite: questi i due elementi su cui spinge la docuserie disponibile su Netflix dal 16 luglio. Allo spettatore viene lasciata tutta la libertà di formare la propria opinione personale su chi possa essere il vero assassino di Yara Gambirasio. Un’opera certamente divisiva che campeggerà nelle cronache e nel dibattito pubblico delle prossime ore.
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“Penso che gli assassini siano tuttora ancora liberi e che stiano ridendo di me e della giustizia”. Massimo Bossetti, l’ignoto 1, l’uomo che per tutti è l’assassino di Yara Gambirasio, parla e ragiona come un innocente nelle sequenze di Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, da oggi 16 luglio su Netflix. Questa sembra anche la tesi degli autori che non mancano di suggerire episodio dopo episodio che quel "oltre ogni ragionevole dubbio", nella realtà dei fatti, non sembra esserci stato. Questo è l’aspetto più importante che stupisce chi guarda la docuserie.

Gianluca Neri e Carlo G. Gabardini, con Elena Grillone, Cristina Gobbetti, Camilla Paternò e Alessandra Casati, la stessa produzione e quasi la stessa squadra creativa di SanPa, anche questa volta hanno fatto centro. La docuserie è di altissima qualità, fornisce materiali mai ascoltati prima, le voci dagli atti del processo di tutti i protagonisti, le conversazioni telefoniche intercettate nei giorni di ricerca, quando ancora tutte le ipotesi erano aperte, lo strazio dei genitori, Fulvio e Maura. Lo spettatore è preso alla pancia e viene spinto, fotogramma dopo fotogramma, a mettere in discussione la verità processuale del caso Yara Gambirasio.

La docuserie arriva a dieci anni di distanza dall’arresto di Massimo Bossetti e spinge interrogativi sul lavoro fatto da Letizia Ruggeri, il pubblico ministero, una delle poche a non aver partecipato al docu con le sue testimonianze. Claudio Salvagni, avvocato di Bossetti, è uno dei protagonisti, insieme allo stesso Bossetti, insieme a Luca Telese, che all’epoca si occupò in prima persona del caso, intervistando anche la madre di Bossetti in una puntata di Matrix. Tra le voci che spiccano anche quella di Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, di Cristina Cattaneo, medico legale, che con la sua attività ha aiutato a stabilire processualmente che Yara Gambirasio sia morta nel campo di Chignolo, dove è stata trovata. Tra gli altri dubbi, quelli della mancata presenza delle telecamere al processo: “Ci sarebbero volute le telecamere, perché la gente avrebbe dovuto sapere quello che c’è la dentro” dice Claudio Salvagni, l’avvocato di Bossetti.

La narrazione allarga il campo e spinge l’ipotesi che il corpo non poteva sfuggire al fiuto dei cani molecolari. Secondo l’investigatore privato assunto dalla difesa, Yara non è mai uscita da quella palestra. D’altronde, spiega “c’erano tutti gli spazi per poter nascondere un corpo”. Dal quarto episodio entra in scena il personaggio di Silvia Brena, la maestra di ginnastica di Yara su cui sono state trovate tracce del suo DNA sul giubbotto della ragazzina, sul polsino: “Se trascini un corpo, lo prendi da là”, suggerisce Luca Telese. Come ci è finito, dunque, il DNA di Silvia Brena sulla manica del giubbotto di Yara?

Valter Brembilla, custode della palestra, è un altro elemento chiave. Rappresenta tutto quello che è il “cliché dell’uomo rude”, dice Luca Telese. Vengono ricostruiti i suoi movimenti, anche in questo caso dalla sua viva voce presente agli atti del processo. Valter Brembilla e Silvia Brena non sono stati interrogati sui loro buchi neri: “Perché, con un doppiopesismo inspiegabile, Silvia è stata sollevata da dubbi che c’erano”. Il custode e la maestra di ginnastica sono, infatti, sempre stati ascoltati come testimoni ma non sono mai stati iscritti nel registro degli indagati.

"È stata una vicenda di ipnosi collettiva. Popoli mobilitati per le ricerche, persone immobilizzate davanti alla televisione", afferma Luca Telese. "Credo che a un certo punto, come una catarsi, per il pubblico, per il Paese e per le istituzioni, servisse un punto, servisse la parola fine. A un certo punto, il colpevole era necessario". La sensazione, ricordando quei giorni, è proprio questa.

E allora chi ha ucciso Yara Gambirasio? Sul piano processuale, sicuramente Massimo Bossetti. Il resto non conta. "Io ho una mia versione dei fatti che però non condivido pubblicamente", ammette in una delle ultime battute il medico legale Cristina Cattaneo. Il finale, invece, lascia allo spettatore gli ultimi sospetti fotografando lo stato delle cose: "Il 16 febbraio 2024 la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricordo degli avvocati di Bossetti, negando la possibilità di toccare o fare esaminare i reperti, compreso il DNA. In pratica, ha concesso loro di poterli vedere solo la prima volta". Letizia Ruggeri, invece, "è indagata per frode in processo penale e depistaggio". Restano tutti i dubbi sulla maestra di ginnastica Silvia Brena e Walter Brembilla, il custode della palestra. Entrambi “non sono mai stati indagati”.

La volontà di creare un mostro, la mancanza di indagini approfondite: con tutti questi elementi, la docuserie lascia a chi la guarda la libertà di formare la propria opinione personale su chi possa essere il vero colpevole. Un’opera certamente divisiva che campeggerà nelle cronache e nel dibattito pubblico delle prossime ore. 

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Gennaro Marco Duello (1983) è un giornalista professionista. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Lavora a Fanpage.it dal 2011. Ha esordito nella narrativa nel 2022 con il romanzo Un male purissimo (Rogiosi). California Milk Bar - La voragine di Secondigliano (Rogiosi, 2023) è il suo secondo romanzo.
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