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Giletti vuole troppo e perde il controllo, Non è l’Arena da Mosca è un disastro e lui lo sa

Nell’insistente tentativo di rompere gli schemi e cercare il colpo a effetto, il conduttore di Non è l’Arena realizza una puntata da Mosca sbilenca, disordinata e dai risultati opposti a quelli cercati. Potrebbe essere un momento di passaggio anche per La7, portando a spaccature interne alla rete.
A cura di Andrea Parrella
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La puntata da Mosca di Non è l'Arena segnerà, con ogni probabilità, un momento di passaggio cruciale per la storia di Massimo Giletti a La7. La spedizione russa del conduttore è da ore al centro del dibattito, sia per l'impostazione della puntata, che per i contenuti della stessa. Diversi i momenti contestati, dall'intervista alla portavoce di Lavrov, Maria Zakharova, che ha sostanzialmente deriso il conduttore all'abbandono di Alessandro Sallusti durante la puntata: "Quello che hai alle spalle è un palazzo di m***a", ha detto il giornalista parlando al conduttore e spiegando le ragioni della sua uscita di scena in contestazione con il clima di asservimento alla narrazione russa della puntata.

Il picco si è raggiunto nel momento del malore di Giletti con la reazione impaurita di Myrta Merlino, che da studio ha invocato aiuto per il collega che si trovava a Mosca.

Una serata infelice, mal riuscita, che può essere il principio di una spaccatura interna a La7, rete che ha fatto dell'eterogeneità di voci e anime il proprio valore aggiunto in queste ultime stagioni, come più volte ribadito dal direttore di rete Andrea Salerno. La puntata del 5 giugno di Non è l'Arena, tuttavia, fa emergere una sorta di incompatibilità tra le diverse linee di racconto che da peculiarità rischia di trasformarsi in un problema da risolvere. Le parole della vicedirettrice del Tg La7, Gaia Tortora, durante la messa in onda, sono in questo senso emblematiche: "Siamo oltre il ridicolo".

Giletti ha riprodotto uno schema già proposto in questa stagione e nelle precedenti, inseguendo la filosofia dell'ascolto di tutte le posizioni. La puntata da Mosca era in continuità con quelle realizzate dall'Ucraina, che avevano inaugurato il filone polemico nei confronti del talk show di La7. Come sempre Giletti prova a sparigliare le carte, rompere gli schemi, alimentare dibattito con trovate fantasiose. Questa volta, però, si è trovato senza paracadute, abbandonato anche da chi avrebbe dovuto fargli da scudo (il caso di Sallusti), cedendo alla tentazione di realizzare un contenuto che in questo momento nessun altro avrebbe potuto o voluto realizzare. Senza contro bilanciamenti e anche a causa di un dibattito complicato da difficoltà tecniche e di traduzione, ne è venuta fuori una puntata disordinata, sconnessa tra le parti, persino succube di quella narrazione russa che Giletti si era posto l'obiettivo di disinnescare dall'interno.

Ho sempre riconosciuto a Massimo Giletti la capacità di fare televisione ed evidenziato come il suo approccio abbia portato portato risultati interessanti per la Tv dal punto di vista del linguaggio. La stessa puntata da Mosca partiva da una ratio sensata, con l'idea iniziale di mettere piede in quella terra che vive una realtà parallela alla nostra, capire cosa pensi la gente, sia fosse l'atmosfera. Non si può negare che il risultato sia stato deludente e che anche Giletti, abituato a governare e capitalizzare il disordine, si sia reso conto di aver perso il controllo del suo stesso programma (condotto per alcuni minuti proprio da Merlino, anche a causa del suo malore). L'atteggiamento dimesso del conduttore nella parte finale di trasmissione, forse anche in virtù delle condizioni di salute, è parso quello di una presa di coscienza di una situazione fosse sfuggita di mano. Sono errori che capitano, ma episodi come questo, che pure si dimostrano redditizi in termini di ascolti, possono minare la credibilità di questo talk show specifico, del genere televisivo e della televisione stessa, aumentando la distanza tra il mezzo e chiunque sia in cerca di un maggior rigore informativo.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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