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Opinioni

Fermare Serena Bortone sarebbe un altro passo verso lo smantellamento di Rai3

Serena Bortone ha saputo inserirsi nella narrazione di una Rai3 fatta a pezzi, rendendo la trasmissione “Che sarà” una casa per spettatori smarriti. Indipendentemente da come la si pensi, questa cosa rappresenta un valore per un’emittente televisiva: dimezzarla o addirittura fermare il suo programma sarebbe un altro danno per la Rai e il suo pubblico.
A cura di Andrea Parrella
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In linea con la cronaca televisiva delle ultime settimane, i palinsesti Rai del prossimo autunno avranno il nome di Serena Bortone in cima ai fattori di principale interesse. Un naturale effetto di quello che è accaduto dopo il caso Scurati, detonatore di un'attenzione assolutamente imprevedibile, ma logica e legittima, nei confronti della sua trasmissione "Che sarà".

La stagione di Serena Bortone si chiuderà con le puntate del 15 e 16 giugno (qui il saluto finale e amaro della conduttrice), ma ancora prima di giungere ai titoli di coda non si fa che parlare del futuro: sarà confermata nella prossima stagione, oppure verrà sostituita? Da ore si rincorrono voci di vario tipo, dal possibile dimezzamento alla sola serata del sabato per Repubblica alla totale assenza del titolo nella lista dei programmi per i prossimi palinsesti secondo Dagospia. Si tratti o meno di semplice chiacchiericcio, l'ondata di polemiche polarizzate – da una parte chi difende strenuamente Bortone dalla vicenda della censura di Scurati e dall'altra chi la attacca in quanto simbolo della sinistra – dimostra un dato oggettivo: "Che sarà", in una sola stagione, si è inserito alla perfezione nella narrazione di una Rai3 vessata, penalizzata, privata pezzo dopo pezzo della sua storia.

Un contesto favorevole, insomma, figlio di una progressiva desertificazione identitaria. Fabio Fazio, Bianca Berlinguer, Massimo Gramellini, la storia recente di Rai3 era stata smantellata in una sola stagione, comportando come effetto un crollo di ascolti che nelle scorse settimane è stato certificato da un'analisi di Studio Frasi per il Sole 24 Ore molto chiara (e condivisa, guarda caso, dallo stesso Fazio sui social). Quando lo stesso Gramellini aveva parlato a Fanpage del suo passaggio a La7 lo aveva detto chiaramente: "L'identità di Rai3 non esisteva più".

Parole che fanno capire quanto abbia inciso la linea della dirigenza sull'ambiente di Rai3, creando paradossalmente il contesto perfetto affinché una vicenda come quella del monologo sul 25 aprile di Scurati si verificasse. Le accuse a Bortone, nel frattempo sottoposta a provvedimento disciplinare, di avere approfittato delle circostanze per montare un caso appositamente arrivano da più direzioni. La verità è che la conduttrice, che la televisione l'ha scritta per anni da autrice, che ha imparato a farla in diversi contesti e che la conosce benissimo, ha saputo affrontare al meglio una circostanza palesemente opaca, facendo qualcosa che le ha permesso di affondare ancora più nel solco di quella narrazione, offrendo agli spettatori erranti alla ricerca della Rai3 perduta un luogo in cui ritrovarsi. In termini tecnici e di linguaggio televisivo è questo il senso di un'emittente televisiva ed è sempre stato il senso di Rai3.

Dimezzare Bortone, o addirittura fermarla, vorrebbe dire gambizzare la rete privandola di un altro presidio identitario di Rai3, lasciando in un certo senso a un titolo come Report l'intero peso. Si tratterebbe dell'ennesimo errore imperdonabile da parte di una governance chiamata teoricamente a tutelare il proprio prodotto, renderlo appetibile sotto il profilo pubblicitario, l'appeal verso il pubblico (qualunque esso sia) e l'autorevolezza, essere interessata a preservare ciò che funziona e ragionare in base a questo criterio, indipendentemente da una contaminazione di tipo politico. Ma sappiamo che in Rai le cose non funzionano esattamente così.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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