Daniele Macheda, segretario Usigrai: “Caso Scurati ci dà la misura del controllo che il Governo ha in Rai”
Daniele Macheda, segretario dell'Usigrai, condivide in questa intervista a Fanpage.it le crescenti preoccupazioni interne alla Rai riguardo l'influenza politica e la gestione del servizio pubblico, accentuate dalle recenti vicende che hanno coinvolto l'intellettuale Antonio Scurati: "Quello che è accaduto ci dà la misura di quello che è il controllo politico in Rai". Il segretario estende la sua riflessione sul confronto tra il periodo "berlusconiano" e quello attuale: "Berlusconi era un liberale. Oggi assistiamo a una stagione diversa dove chi governa, evidentemente, pensa di dover occupare la Rai invece di occuparsi della Rai". Il futuro è una serie di scioperi programmati nella speranza di un segnale forte a partire dal cambio del consiglio d’amministrazione, seguendo la disposizione europea del Media Freedom Act: "Temiamo che l'appello resterà inascoltato".
La situazione degli ultimi giorni genera apprensione rispetto alle sorti del servizio pubblico. Che sentimenti si vivono dall’interno?
Le ultime giornate ci hanno detto con chiarezza che quel clima asfissiante che noi abbiamo denunciato qualche giorno fa, evidentemente, c’era. La vicenda di Antonio Scurati dà la misura di quello che è il controllo politico sulla Rai.
Il fronte dei giornalisti Rai è unito in questa protesta, o ritenete che ci sia una spaccatura in relazione a posizioni personali?
Dall’assemblea dei CdR emerge con chiarezza un fronte unito dei giornalisti Rai. C’è una parte di persone che guarda con occhi diversi la Rai: su un centinaio di persone, otto, nove persone hanno votato contro alla proposta di sciopero, ma fa parte della normale dialettica.
Dalla questione Ranucci a quella Scurati, è difficile capire se certe scelte maturino dal contesto o da diktat specifici. Si è parlato di una dirigenza cosiddetta “più realista del re”, che attua indicazioni mai pervenute. È una realtà dei fatti possibile?
Come Usigrai abbiamo chiesto chiarimenti sulle ricostruzioni apparse sulla stampa, come le telefonate della Presidente del Consiglio a Corsini e al dg Rossi per gestire la questione Scurati. Abbiamo chiesto alla Commissione Vigilanza di fare chiarezza perché l’idea che Palazzo Chigi si occupi direttamente di come gestire Scurati e la Rai ci sembra troppo.
C’è chi paragona questa fase al periodo berlusconiano.
Quel periodo ha avuto momenti critici, ma Berlusconi era comunque un liberale. Oggi assistiamo a una stagione diversa dove chi governa, evidentemente, pensa di dover occupare la Rai invece di occuparsi della Rai come servizio pubblico e punto di riferimento per tutti i cittadini. È una situazione peggiore rispetto al periodo berlusconiano.
Carlo Freccero, in una intervista a Fanpage.it, ha detto che la riforma Renzi del 2015 ha creato questo contesto.
La legge Renzi ha peggiorato la Gasparri perché ha trasformato la Rai in un’azienda in mano al Governo e ai partiti. Ha messo in mano anche la questione delle risorse, ridotte nell'ultima finanziaria con una leggina che ha portato il canone da 90 a 70 euro. Sono aspetti che vanno contro quello che dice l’Europa nell’ultimo provvedimento, il Media Freedom Act.
Ricordiamo cosa dice.
Dispone che i servizi pubblici radiotelevisivi e multimediali abbiano garanzie ai vertici di autonomia e indipendenza dai governi e dai partiti. Inoltre, dispone che si diano ai servizi pubblici risorse adeguate e di lunga durata. Oggi, invece, la situazione è paradossale perché la Rai ha firmato un contratto di servizio con il ministero delle imprese e del Made in Italy che la impegna in una serie di obblighi e misure, dall’altro si stabilisce solo annualmente con quali risorse bisogna sostenere questo tipo di contratto.
Dopo il caso Scurati c’è stata la questione della domanda dell’oro alla patria durante L’Eredità. Un altro fatto che sembra peggiorare la crisi reputazionale della Rai.
È un susseguirsi di una serie di notizie che non aiutano a ristabilire una condizione serena in Rai, che finisce un giorno sì e l’altro pure sui giornali. Pensiamo anche alla questione di Ranucci con le repliche di Report. La Rai, per la prima volta, le taglia e poi decide di reintrodurne cinque, ma solo a patto che vengano concordate con l’editore per essere sicuri che quelle puntate replicate non siano fastidiose. Penso al caso LaRussa, alla vicenda Santanché. Allora se noi mettiamo insieme tutto questo, si crea un ambiente inospitale.
Un ambiente che rischia di portare poi i professionisti fuori dalla Rai?
Fabio Fazio, Augias, Gramellini, Lucia Annunziata, adesso Amadeus. È vero che nessuno li ha cacciati, ma è vero che sono andati via. Se viene creato il presupposto per lasciar andare via queste persone, distruggiamo l’identità della Rai. Basti pensare a quello che è successo a Rai3. Soffre tutta la rete che ha perso identità, anche l’informazione che non ha più i traini perché non ci sono più i riferimenti e i numeri di qualche anno fa.
Il riconoscimento di una seconda sigla sindacale come Unirai-Figec-Cisal è un’opportunità o un rischio per i giornalisti sul piano contrattuale?
L’azienda ha riconosciuto ad Unirai i diritti costituzionali. Al di là di come è stato ripreso dalle agenzie, bisogna avere contezza di quello che è realmente il tipo di riconoscimento. Si parla dell’articolo 14, da Statuto dei lavoratori, e di null’altro. Le materie contrattuali per i giornalisti le può trattare l’Usigrai e l’FNSI, al giorno d’oggi. Domani non lo so, ma se qualcuno pensa che altri tipi di “contrattini” possano essere una prospettiva, io dico buona fortuna. Il lavoro giornalistico è un lavoro che va pagato e va garantito nella possibilità di esercitare con autonomia la professione, perché sono questi gli elementi che ti danno la possibilità di definirsi e di essere liberi nel lavoro giornalistico. Il nostro lavoro è un pilastro della tenuta democratica del nostro paese.
Ritornando al clima che c’è in azienda in questi giorni, Usigrai, all’atto pratico, cosa farà nei prossimi giorni?
Partiremo con la programmazione del primo sciopero di cinque giorni e continueremo a chiedere che la Rai cambi rotta. Chiediamo un segnale forte a partire dal cambio del consiglio d’amministrazione, seguendo la disposizione del Media Freedom Act, ma temiamo che i nostri appelli resteranno inascoltati.