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Con la guerra Che Tempo Che Fa cambia racconto, nel segno di Fabrizio De André

La trasmissione di Fazio cambia repentinamente volto con lo scoppio della guerra. Via il tavolo, intrattenimento ridotto al minimo e un nuova sigla. La Tv cambia ancora abiti con la nuova emergenza.
A cura di Andrea Parrella
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Pochi programmi televisivi hanno saputo sintonizzare le frequenze con il sentire generale del Paese come è successo per Che Tempo Che Fa. La trasmissione condotta da Fabio Fazio è stata un faro nel corso della pandemia e anche oggi, con una nuova emergenza che tende a schiacciare quella dominante negli ultimi due anni, rimodula subito la narrazione. Il conflitto in Ucraina, con l'invasione russa iniziata ormai da dieci giorni, ha imposto la necessità immediata di ricalibrare i toni e adeguare le atmosfere di leggerezza che si erano faticosamente imposte negli ultimi mesi, con la necessaria seriosità dell'approfondimento sui fatti che accadono nell'est Europa.

Via il tavolo, che caratterizzava la seconda parte di trasmissione ed era forse divenuto il momento migliore dell'intero programma, poco spazio all'intrattenimento, tra sprazzi sporadici di Luciana Littizzetto, un'intervista a Favino e Leone per l'uscita del loro film e l'ospitata di Stromae. Poi spazio alla guerra, con il ministro degli Esteri Di Maio a riportare la posizione istituzionale dell'Italia, l'appello di Shevchenko per aiutare la popolazione ucraina e ancora approfondimento nella seconda parte di serata.

A questa generale operazione di riassetto va aggiunta la scelta significativa di un cambio di sigla. Per l'occasione, che è difficile capire quanto durerà, viene messa da parte l'ormai storica Twistin' the Night Away di Sam Cooke, per lasciare spazio a La guerra di Piero di Fabrizio De André. Fattore apparentemente secondario, che ha enorme valore simbolico in un territorio, quello televisivo, che dei simboli è regno.

Una scelta prevedibile e giustificata, verrebbe da dire, se si considera la velocità repentina con la quale il concetto di opportunità, applicato al divertimento, alla risata e allo svago, sia tornato a farla da padrone. Aspetto che non ha riguardato solo Che Tempo Che Fa ma diversi programmi di intrattenimento usciti o andati in onda a cavallo con lo scoppio del conflitto, per i quali ci si è subito chiesto se fosse davvero il caso proporli nonostante la guerra. E la domanda resta, pesantissima, senza risposta.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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