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Come The Voice Kids batte Ciao Darwin: no a competizione e drammi, Clerici vince in purezza

The Voice Kids 2 era chiamato a una missione impossibile: non soccombere alla concorrenza di Ciao Darwin 9. E non solo non ha perso la gara dell’Auditel, ma questa seconda edizione è entrata ancora di più nel cuore dei telespettatori. Proviamo a spiegare le ragioni di cotanto, meritatissimo miracolo di Natale.
A cura di Grazia Sambruna
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Doveva essere una Caporetto. The Voice Kids 2 è partita con due spettri belli ingombranti da affrontare: lo scontro con la corazzata di Ciao Darwin 9 al venerdì sera e la messa in onda, posticipata all’infinito, del clone Io Canto Generation al mercoledì sempre sull’ammiraglia del Biscione. Alla terza puntata, si può ufficialmente dire che il programma condotto da Antonella Clerici abbia vinto cotanta sfida, portando a casa altrettante vittorie lato Auditel e il cuore di un numero ancora maggiore di telespettatori. Come è potuto accadere questo miracolo di Natale? Ogni tanto, è bello raccontare anche storie a lieto fine.

The Voice Kids, come anche la versione Senior del format di origine olandese, è forse l’ultimo talent rimasto in tv nella sua forma più pura. Non è il giochino delle poltrone girevoli ad affascinare il pubblico, ma il gran lavoro dell’ufficio casting dello show: i quattro coach sono di innegabile competenza e con personalità differenti ma complementari. Loredana Bertè e gli aneddoti sulla sua incredibile vita (Madonna che le scippò una giacca Moschino, Andy Warhol che la elesse “pasta queen” in quel di New York, la settimana passata a Lagonegro in compagnia della famiglia Mango) valgono già da soli la visione dell’intera puntata. Bertè non si snatura a favor di camera: restia all’entusiasmo immotivato, la vediamo emozionarsi solo di fronte, anzi “di spalle”, a baby-concorrenti iper-talentuosi. Non si gira per niente di meno. Del resto, lei per rilassarsi ascolta “la colonna sonora de L’Esorcista”.

Il nuovo acquisto Arisa è poi una manna dal cielo: materna e ironica, dà consigli tecnici agli enfant prodige in gara senza mai dimenticare di abbracciarli pure con gli occhi. Il clima dello show è così rilassato e sereno che lei per prima, come gli altri coach, raccontano aneddoti inediti che finora si erano tenuti per sé. Così Rosalba Pippa, davanti a un bimbo che si commuove durante la performance e stona, confessa quella volta in cui, sul palco del suo sesto Sanremo, sbagliò le parole per lo stesso motivo, l’emozione, e gli dà una dritta: “Quando ti viene da piangere mentre canti, respira dal naso e vedrai passa tutto”. Anche Gigi D’Alessio svela un inaspettato passo falso in quel dell’Ariston: a quanto pare, riuscì a impicciarsi sulle note dell’immortale “Non dirgli mai”, proprio la prima sera. Clementino è la carta matta della cricca: con l’apparente età mentale dei ragazzini in gara, sembra uno di loro. Sempre pronto a giocare e a buttarla in caciara. Quando compare un bimbo di 7 anni che arriva da Nola come lui, ci improvvisa insieme un freestyle per far sentire a tutti “come suona Nola York”.

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Ottima anche la scelta autorale di non puntare sulla competizione con le lame tra i denti, ma sulle storie delle piccole ugole d’oro in gara. Nessuno, almeno per narrazione, sembra voler fare le scarpe agli altri, anzi, quasi tutti hanno un piano b rispetto alla musica: c’è chi sogna di diventare netturbina perché vuole “pulire il mondo”, chi macellaio “e se non divento cantante fa niente: da grande andrò al karaoke con gli amici tutte le sere”, chi si vede già Alberto Angela perché innamoratissimo dei dinosauri: “Metti che al mondo ce ne siano stati mille, io ne conosco già almeno 888”. Assente l’insistenza sul dramma propria di quasi tutte le trasmissioni attualmente in palinsesto. Così i bambini sembrano davvero bambini, non cavalli da corsa caricati a pallettoni per “performare” al meglio e levarsi di torno, né piccoli vampiri accecati dalla fama già in tenerissima età. Questo nonostante un dato oggettivo: la maggior parte di loro può vantare un livello di intonazione (senza autotone) da far impallidire i “colleghi” maggiorenni che partecipano agli altri talent. Non che avere una bella voce sia tutto, ma vedere una dodicenne, per altro timidissima, cantare Mina senza intoppi è uno spettacolo che non capita poi così spesso. Soprattutto perché si esibisce dopo aver dato al pubblico il tempo di “conoscerla” tramite clip introduttiva e chiacchiera pre-esibizione con la conduttrice. Anche per questo The Voice Kids non restituisce mai quella inquietante aria da freak show.

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A chiudere il delizioso cerchio, la garbatissima conduzione di Antonella Clerici. Defilata a bordo palco, tifa per ognuno dei baby concorrenti insieme e forse perfino più dei famigliari. L’abbiamo vista commuoversi asciugandosi le lacrime sul vestito di scena vedendo un enfant prodige cantare Alex Baroni. E neanche per un secondo abbiamo pensato alla classica sceneggiata tv emotional perché sul divano di casa, chi più chi meno, stavamo facendo tutti la stessa cosa. E qui troviamo un altro motivo per cui The Voice Kids è uno show vincente: nulla appare forzato, le reazioni di coach, concorrenti e conduttrice sono realistiche, allineandosi come per magia a quelle del pubblico. Tale corrispondenza di sentimentali sensi è rarissima in tv e si pone come ennesimo asso nella manica della trasmissione.

The Voice Kids non piace solo alle nonne, ma conquista anche le generazioni più giovani con la forza dell’onestà. Niente impicci, zero telerisse, solo voglia di cantare e di farlo bene per il pubblico, certo, ma soprattutto perché è divertente. Una piacevolissima riscoperta, un ritorno alle origini da cui molti dovrebbero imparare. La semplicità può vincere, soprattutto se così sincera, ancora oggi in tv. E non solo perché siamo sotto Natale.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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