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Opinioni

Ci vuole un fiore: Francesco Gabbani merita di diventare un’ottima abitudine per la Rai

Ci vuole un fiore convince ancora. La seconda edizione dello show sull’econosostenibilità è trainata dall’entusiasmo di Francesco Gabbani, alla prova (superata) del one man show. La divulgazione può essere anche intrattenimento, anzi, forse è proprio questa la sua miglior trasposizione televisiva per veicolare, col sorriso e senza reprimende, messaggi urgentissimi al maggior numero di persone possibile. Chapeau!
A cura di Grazia Sambruna
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La divulgazione è importante, anzi, fondamentale. Soprattutto se si parla di ambiente ed ecosostenibilità, temi spesso ostici ma urgentissimi date le sempre più preoccupanti condizioni del nostro pianeta. Allo stesso tempo, trovare un modo per trasporla in tv non è impresa facile. Il rischio di annoiare come anche quello di utilizzare toni apocalittici e respingenti è dietro l’angolo. Fin dal titolo, Ci vuole un fiore, promette leggerezza. E il punto è che la mantiene. Scegliere la strada del varietà per affrontare questioni di tale portata non era certamente la via più intuitiva, eppure, ancor meglio della scorsa, prima edizione, si è rivelata efficacissima. Chi ha passato la serata davanti a Rai 1 ieri sera, venerdì 14 aprile, ha sorriso, cantato, magari si è perfino emozionato. Senza mai avere l’impressione di assistere a una reprimenda o, peggio, a una sorta di veglia funebre. Nel frattempo, ha certamente avuto la possibilità di acquisire maggiori informazioni, corrette, sulla crisi climatica che attanaglia la nostra Casa. Come è stato possibile? La risposta a questa domanda ha un nome e un cognome: Francesco Gabbani.

Lo scorso anno era affiancato da Francesca Fialdini, stavolta si è trovato da solo al timone. E il cantautore di Carrara ha dimostrato come tale ruolo sembri essergli stato cucito addosso dalla nascita. Ha ballato, intervistato ospiti musicali e non, esposto concetti complessi in maniera semplice e diretta, come se stesse parlando a un gruppo di amici. Ed è così che ci siamo sentiti davanti allo show, non “giudicati” o messi in guardia con rigore sulle sorti del Pianeta, ma sostanzialmente in compagnia di un amico, appunto, caciarone e divertente che teneva a raccontarci qualcosa di importante per lui. Riconfermiamo, quindi, l’impressione della passata edizione: Gabbani è un animale da palco. E lo è perché davanti alle telecamere vanta quella rarissima e naturale spontaneità che tanti conduttori di professione inseguono per tutta la vita, studiando assai. Invano. Del resto, è dai tempi di Sanremo 2017, quando lo abbiamo visto vincere la kermesse con una scimmia al seguito che ci mostra quale sia il suo “segreto”: quando è in scena si diverte. Parecchio. E così, diventa irrimediabilmente contagioso.

Se ci vuole un fiore non ha avuto toni da memento mori, né ha dato l’impressione di voler ammorbare con prediche e condanne ai nostri usi e costumi più o meno green, è stato essenzialmente grazie al suo entusiasmo (e ai testi di chi ha scritto la puntata, su tutti l’autore Lucio Wilson). Chiunque entri in contatto con Gabbani, automaticamente, sorride. Perché il cantautore è un coinvolgente, irriducibile entusiasta. Leggero ma mai superficiale, ha aperto lo show con un omaggio al compianto Piero Angela che, ospite nella scorsa edizione, aveva detto: “Non esiste un solo futuro, ma ne esistono molti possibili. Possiamo sceglierli con i nostri comportamenti”. Da qui, ouverture musicale piano e voce dedicata al grande padre di Superquark e poi, a ritmo velocissimo per un programma Rai, via al valzer degli ospiti: Francesco Arca che parla di come i bambini siano naturalmente portati a non avere paura e a celebrare la diversità, per poi rivelare a Gabbani come sua figlia sia innamorata di lui. La sempre impareggiabile Ornella Vanoni con una poesia sulle api e la solita dispettosa malizia: “Sai che il maschio dell’ape, appena infila il suo ‘penino’… ZAC! Muore?”. Una notizia poco confortante “per me che credo nella reincarnazione, speriamo di diventare qualcos’altro!”, ha osservato Gabbani.

Levante si è presentata con uno degli abiti che aveva sfoggiato a Sanremo 2020 per ricordare l’importanza ecologista del riutilizzo anche nel campo della moda, mentre il divulgatore scientifico Mario Tozzi si è lasciato coinvolgere, o per meglio dire "immolare", in un quiz sull'ambiente e in una sequela di freddure a tema green "per creare il gelo" e "combattere", così, il surriscaldamento globale. Efficacissimi, gli “esperimenti empirici” per rendere l’idea, in pochi minuti, di come gestire al meglio la nostra routine: il momento della “doccia più veloce del mondo” con Gabbani che canta una versione accelerata di Sapore di Mare in modo da non sprecare troppa acqua (ne perdiamo 80 litri per ogni 5 minuti di doccia) è stato esilarante. E perfettamente utile allo scopo.

Più che apprezzabile, anche, la precisa scelta di non puntare troppo il dito sugli errori del passato, tanto nessuno ha ancora inventato una macchina del tempo per poter tornare indietro e correggerli. Ci vuole un fiore, coraggiosamente, parla del presente, con un occhio sempre rivolto al futuro. Insieme a Giusy Buscemi, sulla riva di un laghetto ricostruito in studio tra le tante bellissime scenografie, la puntata termina sognando come sarà il mondo: Gabbani vorrebbe auto elettriche volanti per raggiungere uffici sugli alberi, l’attrice auspica che la differenziata diventi finalmente routine quotidiana per tutti, come anche la diffusione su più larga scala dei pannelli solari. In una chiacchierata distesa, tra sogno e realtà.

In conclusione, Ci vuole un fiore funziona. È uno show leggero e divertente che dimostra come la divulgazione possa essere anche intrattenimento. Anzi, come proprio l’intrattenimento sia forse la vera e più efficace chiave per veicolare messaggi urgentissimi al maggior numero di persone possibile. Intanto, una cosa è certa: Francesco Gabbani in prima serata potrebbe (e dovrebbe) diventare proprio una bella abitudine per la Rai. L’anno scorso nasceva uno showman, ora lo abbiamo visto conseguire il Master in conduzione. Chapeau.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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