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Belve 2024

Belve è il contrario della Tv e per questo funziona

Belve è la trasmissione televisiva più simile a un podcast. Basterebbe questo per renderlo un prodotto interessante, ma c’è un’altra trovata che rende quello di Fagnani un programma di successo: fare gossip senza sporcarsi le mani.
A cura di Andrea Parrella
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La televisione è morta, sostiene qualcuno da tempo, a torto o a ragione. Una cosa è certa, la povertà di offerta in questo momento storico televisivo, unita alla ricorsività dei meccanismi, induce a credere che questo mezzo attraversi un momento di difficoltà e carestia di idee senza precedenti, cui va sommata la totale indisponibilità del pubblico a cercare nel piccolo schermo la novità, anziché rifugiarsi nel già noto. Per il brivido dell'inedito c'è internet e anche lì, ormai, pare proliferare la ripetizione.

Perché questa premessa e cosa c'entra Belve? Perché in questo scenario di povertà di offerta, il programma condotto da Francesca Fagnani è, fuori da ogni dubbio, tra i prodotti più interessanti della televisione di questi ultimi anni. Un successo di pubblico, come dimostrano i numeri record della puntata di partenza del 2 aprile, che sa coniugare la popolarità alla critica e che Rai è stata in grado di accogliere facendo suo un fenomeno, cosa rara per il servizio pubblico.

Non è un semplice programma di interviste, non funziona solo per la notorietà dell'approccio di Fagnani, non è il semplice frutto di un fenomeno passeggero. La qualità di Belve è essere un programma della Tv tradizionale che niente ha a che fare con la Tv tradizionale.

Belve è un podcast televisivo

Belve ha risposto a due esigenze cruciali di questo momento storico. Prima di tutto l'importanza della frammentazione, l'intrattenimento che si può parcellizzare, il programma di Fagnani è fatto di interviste lunghe che si prestano perfettamente alla logica dello spacchettamento, l'isolamento di piccole parti estrapolate da chiunque che vivono di vita propria grazie al meccanismo virale. Niente, oggi, funziona meglio in Tv.

Secondariamente, ma non in ordine di importanza, il programma di Rai2 è forse la sola traduzione televisiva del formato di maggiore successo di questo momento: il podcast. Non ci sono le cuffie da gamer, non c'è una stanza silenziosa con l'ambiente accogliente, non c'è del muschio sullo sfondo ma Belve prende dal linguaggio dei podcast l'essenza. Ne riproduce il contesto, il clima cui l'ospite guarda inizialmente con timore perché sa di doversi raccontare come non farebbe altrove, ma allo stesso tempo si lusinga di essere lì, cerca quella situazione per distinguersi, sentirsi al sicuro di poter dire tutto, di poter essere volgare senza essere accusato, di essere compreso, avere il giusto tempo, nel giusto luogo, per raccontarsi in modo profondo e in una luce diversa che amplifica i tratti già noti, ma fa emergere anche nuove sfumature.

Il gossip senza sporcarsi le mani

C'è poi un'ulteriore questione che rafforza Belve: fa gossip senza fare gossip. Se è vero che il pettegolezzo si fa ma non si ammette, che niente sporca più dell'inciucio, dell'interesse per la cronaca rosa sui personaggi noti, è vero anche che la sostanza di qualsiasi personaggio pubblico sta proprio lì. Ecco che, partendo dalle dichiarazioni dei protagonisti, contenute in quel quaderno che pare un registro di avvenimenti,  Francesca Fagnani ammanta tutto di intellettualismo ma allo stesso tempo fornisce una quantità considerevole di materiale gossip, senza sporcarsi le mani. Una trovata notevole, per cui non basta solo l'idea, ma serve lo standing che lei possiede.

In futuro si ragionerà probabilmente di un calo fisiologico di appeal della trasmissione, della scarsità progressiva di nuovi ospiti "notiziabili", ma per queste ragioni Belve rappresenta l'antitesi della Tv generalista, dei suoi tempi stretti e serrati, di quel terrore per i silenzi e della pruriginosità per il pettegolezzo. Ed è per questo che funziona.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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