Cosa fa la differenza tra un buon programma agli inizi e uno ormai rodato in un format? L'assenza dell'effetto sorpresa. Tutto sembra diventare oggetto di calcolo tra ciò che funziona e non, lasciando poco al caso, che spesso è portatore di momenti epici. È ciò che potrebbe accadere anche a Belve, che ha esordito ieri in prima serata su Rai 2. In un prime time ricco di programmi alternativi, tiene botta agli ascolti ma non brilla. Ci si rincorre nelle analisi su ciò che ha funzionato e cosa no, ma forse non abusare del format e preservare la spontaneità degli ospiti potrebbe bastare.
Accade di continuo di assistere alla deriva di format televisivi che vengono talmente usurati da perdere l'elemento novità e risultare all'improvviso tiepidi. Belve parte da un'idea, un tempo ‘barbarica', di epurazione della parte divistica del personaggio e di rimozione dei lustrini a un certo tipo di giornalismo che puntualmente si trova invischiato nella priorità di intrattenere prima che di informare. Non ha ceduto il passo sul NOVE, non l'ha fatto nemmeno dopo su Rai 2 in seconda serata, custodendo gelosamente l'aspetto minimal per restituire l'intimità di uno studio fatto solo per due protagonisti: il giornalista preparato e un po' sfrontato su uno sgabello, la star pronta a mostrare gli artigli sull'altro.
Belve funziona perché queste chiacchierate intime hanno il sapore di confessioni domestiche, qualcosa che non sarebbe mai possibile rendere pubblico. È riuscito ad abbassare il volume di alcune interviste che necessitavano di clamore per essere viste, portando il tutto su un piano che è diventato insolito, quello del contenuto. Domande frutto di ricerche e non di passaparola rimasticati, che hanno dato senso e valore a questi incontri a luce soffusa mascherati da simpatici agguati. Ai quali, anche gli ospiti non erano preparati, risultando vittime di uno spiazzamento che oggi traspare più come la difesa ragionata di chi conosce il sistema.
La proposta tv in termini numerici si collocava benissimo: due interviste a settimana e via. Si è saliti a quota due interviste a sera per tre sere a settimana nel passaggio alla Rai e ora addirittura, in prime time, a quattro interviste (pare solo per la prima puntata, verranno ridimensionate a tre per ogni martedì delle prossime cinque settimane) mitigate da momenti di comicità troppo estemporanei. Francesca Fagnani resta la quota rassicurante, quella che garantisce l'attaccamento allo schermo, il volto che catalizza l'attenzione senza forzature, dimostrando di essere il prototipo di belva dal quale si è partiti.
Si spera non ci si poggi totalmente su di lei, a tal punto da pensare che anche il suo modello di gestione dell'ospite possa essere cavalcato all'infinito, non essendo soggetto a stanchezza. È accaduto in modalità differenti a Franca Leosini, che con Storie Maledette ha creato un filone narrativo di straordinario successo sui casi di nera, ma con l'effetto collaterale di richiamare, nel tempo, più di una risata nelle puntate più cruente. Nemmeno fosse Paola Cortellesi in persona.