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Amadeus non ha fatto i conti con la realtà, il pubblico italiano non cambia canale

Perché il passaggio di Amadeus dalla Rai al Nove non sta funzionando? Dopo due settimane è ancora prematuro emettere sentenze, ma si possono provare a capire i motivi per cui non c’è stato il boom sperato: ad esempio che l’abitudine è il primo vagito del telespettatore.
A cura di Andrea Parrella
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Il passaggio di Amadeus al Nove era l'operazione televisiva più attesa di questa stagione. Le aspettative del mercato e del pubblico erano concentrate sui risultati che il numero uno della Rai avrebbe realizzato una volta passato a un gruppo ambizioso e potente come Warner Bros. Discovery, ma con un ruolo ancora secondario nel panorama televisivo italiano.

I risultati delle prime due settimane non possono essere una sentenza definitiva sull'operazione complessiva, ma forniscono materiale sufficiente per certificare che il "botto" iniziale tanto atteso non c'è stato. L'esperimento di Chissà chi è, omologo de I Soliti Ignoti in onda nell'access prime time di Nove tutti i giorni è presto sceso al di sotto della soglia del 3% di share (cresciuto nella puntata XXL del 7 ottobre) e la stessa serata di partenza del 22 settembre, con l'appuntamento di Suzuki Music Party, non è riuscita a spiccare propriamente il volo come era accaduto un anno prima a Fabio Fazio con Che Tempo Che Fa, vera anomalia della programmazione di Nove.

Amadeus a Suzuki Music Festival con Tananai
Amadeus a Suzuki Music Festival con Tananai

Nessuna volontà di condannare o attaccare "violentemente" Amadeus, come ha detto lui a Che Tempo Che Fa, ma un'analisi di questo mancato entusiasmo per il suo passaggio al Nove è funzionale alla comprensione di alcune dinamiche che paiono caratterizzare in modo imprescindibile la televisione generalista italiana. Le responsabilità dell'avvio lento di Amadeus si possono attribuire sia alla scelta del programma, Chissà chi è, che corrisponde all'idea di convincere il pubblico a spostarsi altrove seguendo qualcosa di già visto per il solo motivo che a guidarlo ci fosse Amadeus. Ecco, se c'è una cosa che non è stata considerata in questa operazione è il peso del fattore "tradimento".

A dispetto di quanto si pensi, delle critiche mosse alla Rai in questi ultimi mesi e del generale disfattismo italico nei confronti del servizio pubblico televisivo, c'è una consistente fetta di spettatori che a cambiare canale non ci pensa nemmeno. Può risultare inaspettato, ma una fetta della platea si considera tradita da Amadeus per aver scelto di lasciare la Rai, indipendentemente da quanto legittima e coerente sia la sua decisione da un punto di vista professionale. Non è un caso che nelle settimane in cui impazzava il dibattito sulla sua decisione di andare altrove, chi si opponeva ad Amadeus commentasse la vicenda dicendo che si era trattato di una scelta "per soldi", così da mettere il conduttore in cattiva luce facendo leva sul materialismo. Al contrario è stato lo stesso Amadeus a spiegare che la Rai gli avesse fatto la stessa proposta economica di Nove e che lui ha preferito una nuova sfida e nuovi stimoli, ma forse non è bastato.

Amadeus ospite di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa

C'è un altro punto di cui Amadeus non ha tenuto conto: il pubblico che non cambia canale è esattamente il suo pubblico, quello che lo ha consacrato negli ultimi anni, quello a cui lui destina i video tutorial per spiegare quale tasto del telecomando premere per seguirlo sul Nove. Si traccia proprio qui il confine tra l'operazione Amadeus e la già citata vicenda Fazio. Il primo è un conduttore largo, popolare, è amato proprio per la sua qualità di saper parlare a tutti e, per questo, unire. Fazio ha invece agito in profondità, costruendo un pubblico specifico, nonché politicizzato, disposto a seguirlo ovunque, soprattutto perché consapevole che il giorno dopo la sua uscita non avrebbe trovato un prodotto equivalente su Rai3.

Amadeus non ha fatto i conti con la realtà, dimenticando che l'abitudine è il primo vagito emesso da ogni spettatore televisivo, così in due settimane scarse l'operazione più attesa dell'anno si è sgonfiata di aspettative e, proprio perché era la più attesa, ha finito per diventare una sorta di insuccesso. Certo, la stagione è lunga e ancora di più lo sono i quattro anni di contratto, durante i quali può accadere di tutto, ma è chiaro che se l'entusiasmo chiama entusiasmo, vale anche il suo contrario. Siccome la televisione prima che di ascolti è fatta di impressioni, in questo momento quella dominante è che in pochi giorni il vantaggio competitivo del cinque volte conduttore di Sanremo, signore dell'Ariston e re degli ascolti, capace di reinventare un format dato per morto come Affari Tuoi, che infatti va a gonfie vele anche senza di lui, si sia esaurito. Qualcuno dirà che lo aveva previsto, altri che non se lo sarebbero aspettato, ma sarà curioso vedere in che modo uno dei migliori presentatori attualmente in circolazione riuscirà a tirarsi fuori da queste sabbie mobili.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.  
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