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Opinioni

Perché Gene Hackman è stato uno dei più grandi: una vita da film, mai vittima degli stereotipi

A 95 anni, le modalità della scomparsa di Gene Hackman e di sua moglie Betsy Arakawa hanno spiazzato tutti. L’attore due volte premio Oscar è stato uno dei più grandi di Hollywood, un artista capace di spaziare fra i generi, dai drammi alle commedie passando per i cinefumetti, e lo ha fatto sempre con la sua faccia da duro che non è mai rimasta vittima di uno stereotipo definito e definibile.
A cura di Andrea Bedeschi
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Gene Hackman è morto a 95 anni. Normalmente, quando giganti della settima arte se ne vanno a quest'età lasciando alle loro spalle un'eredità importantissima fatta di interpretazioni memorabili, la tristezza che si può provare tende ad essere attenuata. Affievolita dalla consapevolezza che avere una vita così ricca di soddisfazioni non è di certo cosa alla portata di tutti e che, soprattutto, i tanti film interpretati saranno sempre lì. Pronti a essere visti e rivisti.

Eppure a lasciare spiazzate sono le modalità di come Gene Hackman e sua moglie, la pianista classica Betsy Arakawa, sono stati trovati privi di vita nella loro abitazione di Santa Fe. Il buen ritiro lontano dai riflettori di Hollywood in cui Hackman si era rifugiato da quando, nel 2004, aveva deciso di allontanarsi dallo stress dell'industria anche e soprattutto per preservare il suo stato di salute. Si attendono sviluppi e chiarimenti circa la dinamica di una tragedia che, in modo così drammaticamente teatrale, è del tutto in linea con una figura come quella di Hackman.

Una vita da film

Nato a San Bernardino in California il 30 gennaio del 1930 è stato figlio di genitori divorziati sballottato a lungo da questo o quel parente fino al giorno in cui riuscì a stabilizzarsi un po' dalla nonna materna in Illinois, a Danville. Aveva tredici anni quando i suoi si separarono e suo padre lasciò la famiglia. Lui stava giocando in strada e il genitore lo salutò con un semplice gesto della mano. Anni dopo, riflettendo su quel momento disse: “Lì per lì non avevo realizzato quanto significato potesse avere un semplice gesto come quello. Forse è per questo motivo che sono diventato un attore”.

Ma i due Premi Oscar, quello per il Miglior attore protagonista arrivato grazie al Braccio violento della legge di William Friedkin e quello come Miglior attore non protagonista per il film Gli spietati di Clint Eastwood (per entrambe queste pellicole vinse anche i relativi BAFTA), si devono sostanzialmente a una frase che, come ha raccontato anni fa in un'intervista a GQ, gli disse sua madre Anna quando lui aveva appena 10 anni. Erano andati al cinema e gli rivelò che le sarebbe piaciuto vederlo recitare sul grande schermo, un giorno. “Me lo disse davvero. Avevo 10 anni più o meno. Spesso i genitori dicono ai figli cose che non vengono minimamente ascoltate, ma a volte si colgono i desideri di ciò che vorrebbero vederti fare”, spiegò. Gene Hackman sarebbe poi diventato un grande fra i grandi di Hollywood, ma sua madre non potè mai assistere a tutto ciò. Non lo vide praticamente mai in scena. Morì nel 1962. Era ubriaca, si addormentò con la sigaretta ancora accesa che finì per incendiare inevitabilmente il materasso sopra al quale si trovava.

Dai Marines al grande schermo

Ma prima di diventare attore, Gene Hackman è stato anche un Marines. Entrò nel corpo militare a 16 anni, mentendo spudoratamente sulla sua età. Prestò servizio per quasi cinque anni, molti dei quali in Cina, lavorando come operatore radio, ma poi lasciò perdere perché aveva un problema con il tollerare l'autorità.

Poi nel 1964, grazie a Warren Beatty che lo volle in Lilith, ebbe inizio la sua ascesa a Hollywood. Una carriera in cui ha preso parte a 85 film per il grande schermo (senza contare poi il teatro e la TV) in cui è difficile trovare un film che sia davvero definibile come “brutto”, con tutto il senso che può avere un aggettivo che ha comunque il suo grado di soggettività nell'attimo stesso in cui viene adoperato da una persona. Il suo è un corpus di lavori e arte che, come sempre avviene in queste tragiche occasioni, è complicato riassumere e sintetizzare.

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Di sicuro a colpire di Gene Hackman era in primis il suo volto, così rude e poco hollywoodiano per certi versi. Una fisionomia che, unita alla grandissima intelligenza con cui ha sempre scelto le sceneggiature dei film ai quali ha preso parte, gli ha permesso di fare sempre tantissimo, facendo “pochissimo”. E soprattutto, non è mai rimasto vittima di un'immagine stereotipata di sé e dei suoi personaggi. Che è quello che ha sempre “afflitto”, se così si può dire, un'altra leggenda quasi sua coetanea e ormai lontana dai riflettori come Jack Nicholson. Uno che Stephen King non vedeva di buon occhio nello Shining di Stanley Kubrick perché era già psicopatico in partenza.

Gene Hackman poteva regalare al pubblico ruoli duri, asciutti, come l'investigatore Jimmy "Papà" Doyle del capolavoro di Friedkin che gli è valso il primo Oscar, o spicci e violenti come lo sceriffo Little Bill Daggett del crepuscolare western di Eastwood che gli ha donato la seconda statuetta dorata.

Ma anche in pellicole dal gusto più semplicemente pop come Allarme Rosso di Tony Scott riusciva a regalare brividi senza scendere nella facile gigioneria. E troneggiava con rara bravura anche nel contesto di un film “fanta bellico” che, a metà degli anni novanta, raccontava il possibile scoppio di una guerra atomica che poteva aver origine proprio dalle decisioni del suo personaggio, Frank Ramsey, capitano di vascello di un sottomarino armato di missili nucleari.

Da Piume di Struzzo a Frankenstein Junior: un talento trasversale

Un viso di cuoio, il suo, che lo rendeva perfetto anche per commedie come Piume di struzzo, il remake americano del Vizietto con Robin Williams e Nathan Lane nei ruoli che furono di Michel Serrault e Ugo Tognazzi. Nel film di Mike Nichols interpretava il senatore conservatore e ultra cristiano Kevin Keeley, la cui figlia, Barbara, era fidanzata e in procinto di sposarsi con Val, il frutto dell'unica notte di amore eterosessuale mai avuta da Armand Goldman (Robin Williams). Il bacchettone stava per ritrovarsi, senza minimamente accorgersi della cosa, con un genero cresciuto da una coppia di omossesuali che gestivano uno strip club a Miami che, per di più, non era neanche cristiano. Impossibile pensare a qualcuno di diverso da Gene Hackman.

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Solo lui poteva maneggiare un simile, sottile ritratto di spassosa stolidità. Ma altrettanto indimenticabile, in tema di commedie, fu la sua apparizione non accreditata nei panni dell'eremita cieco nell'immortale capolavoro di Mel Brooks Frankenstein Junior. Pochi minuti per scena dai tempi comici magistrali all'interno di un film che non ha un singolo passaggio che non abbia fatto la storia della settima arte. Ci sono attori specializzati in commedie che, nell'arco di un'intera carriera lunga decenni, magari non hanno mai raggiunto un picco sulla cui sommità Gene Hackman ha piantato la sua bandiera con appena quattro minuti di presenza.

I Tenenbaum e “la gigioneria per sottrazione”

Citavamo la facile gigioneria qualche riga fa. Ed effettivamente, anche Gene Hackman ha ceduto alla tentazione qualche volta. Eppure lo ha fatto, anche qui, a modo suo. E ne sono nati personaggi che resteranno un patrimonio collettivo come Lex Luthor, la storica arcinemesi di Superman che ha interpretato nel primo film della saga diretto da Richard Donner uscito nel 1978. Un ruolo che ha poi ripreso nel sequel del 1980 e nel capitolo 4 datato 1987.

Ma è nel 2001 che questo suo voler cedere all'istrionismo ha portato alla manifestazione di un'epifania quasi paradossale. Il patriarca Royal Tenenbaum a cui ha dato vita in quello che ad oggi resta il film più riuscito di Wes Anderson, I Tenenbaum, riesce ad essere un rarissimo caso di “gigioneria per sottrazione”. Non esiste nessuno nella Hollywood di ieri, di oggi e probabilmente di domani che sarebbe riuscito a rendere così altrettanto esilarante il racconto di una coltellata ricevuta in un bazaar a Calcutta.

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