Paolo Antonacci: “Essere figlio d’arte mi ha fatto soffrire, in amore piacevo per via di mio padre”
Paolo Antonacci è uno di quei figli d’arte che vive come un vero e proprio peso il cognome che gli ha garantito notorietà, senza che fosse richiesto. È uno dei due figli di Biagio Antonacci e Marianna Morandi e come il fratello Paolo è cresciuto a pane e musica. Nel suo caso però, al palcoscenico ha preferito la scrittura dei testi per numerosi artisti.
Chi è Paolo Antonacci
Classe 1995, Paolo Antonacci ha scritto tesi di successo degli ultimi anni, Mille e La dolce vita solo per citarne un paio, e la sua firma vale dischi di platino. Di recente ha scritto Made in Italy e Tango, i brani di Rosa Chemical e Tananai che hanno spopolato sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo. Ha collaborato con Annalisa, Alessandra Amoroso, Irama, Nel, Eros Ramazzotti.
Una carriera che procede nel migliore dei modi, se non fosse per il peso di quel cognome che teme possa essere un ostacolo: “Ho paura di essere un aneddoto, non voglio essere ridotto a una curiosità, perché sminuirebbe quello che faccio”, ha racontato di recente al Corriere. “Questo Sanremo è stato psico magico per me, mi ha fatto fare pace con il mio cognome, con la sofferenza di essere figlio e nipote di….Ora vivo di questo mestiere, mi posso comprare casa”.
Essere figlio di Biagio Antonacci
A 16 anni racconta di aver lasciato il liceo scientifico per seguire il padre Biago in tour, anche se poi sarebbe arrivato fino al traguardo della laurea. Il nome d’arte comunque lo ha sempre segnato, anche nella vita privata. “Con le ragazze? Avevo successo perché pensavano a mio padre e questo mi ha sempre fatto soffrire, adesso però è diverso", spiega al Corriere. Intorno ai 20 anni poi è insorto un problema che gli è costato un periodo molto difficile:
Avevo un disturbo ossessivo compulsivo molto forte, vivevo in una foresta di simboli e mi vergognavo come un cane… sono finito in day hospital per una cura di antidepressivi. Ero nella merda, avevo delle canzoni ma avevo anche paura di espormi per la solita questione di famiglia. Smisi le cure e il dottore temeva l’effetto rebound: ‘Finirà a fare zapping sul divano’, disse. Sei mesi dopo ho cambiato cure e mi sono ripreso.