
Se n'è andata Nadia Cassini, la donna che assicurò il suo fondoschiena per più di un miliardo di vecchie lire. La musa di quel cinema italiano che oggi fa inorridire i benpensanti amanti delle categorie, quelli che possiamo tranquillamente inserire nel grande calderone del politicamente corretto. La diva che cantava “A chi la do stasera…la mia felicità?”, parodiata dagli Squallor in maniera impietosa ma irresistibile.
La donna dei titoli dei film che sembravano presi paro paro dai giornaletti nelle edicole: Mazzabubù…quante corna stanno quaggiù?, Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din-don, Io tigro, tu tigri, egli tigra seguito da Io zombo, tu zombi, lei zomba. E ancora: L’insegnante balla…con tutta la classe, L’infermiera nelle corsie dei militari, La dottoressa ci sta col colonnello, L’assistente sociale…tutto pepe e sale. Roba difficilmente replicabile con qualsiasi algoritmo avanzato.

Qualcuno potrebbe “per fortuna”. Eppure, Nadia Cassini è stata emblema di un’epoca in cui il cinema italiano sapeva ancora ridere di se stesso, dei suoi vizi, delle sue ossessioni, senza false morali. Un’epoca in cui le commedie non avevano bisogno di scusarsi per mostrare il desiderio e celebrare la sessualità senza falsi pudori. Era l’Italia raccontata meglio di qualsiasi altro saggio sociologico. L’Italia dei tabù e dei desideri repressi, un’Italia che malgrado tutto ancora oggi resiste sotto quello che si può e non si può dire.
Nadia Cassini bellissima, che aveva culo ma nella vita non aveva avuto culo, come suggerì lei stessa in un’intervista. Nadia Cassini che fece impazzire anche Georges Simenon, uno di quelli che cambiava amanti e compagne ufficiali tutte le volte che finiva un romanzo, e qualcuno pensa che sia stato scrittore terribilmente prolifico anche per questo. Nadia Cassini che ha raccontato, nelle sue curve, quelle di un'Italia per niente ossessionata all'idea di piacere a tutti.

“Nadia Cassini non era solo un sex symbol. Era la protagonista di un cinema anche spudorato, ma autentico”, ha raccontato Lino Banfi a Fanpage.it per ricordare la sua scomparsa. Un cinema che oggi non può più tornare per mille motivi eppure, nell’epoca del perbenismo di facciata, manca terribilmente.
