Sui due ragazzi che hanno chiesto il selfie a Maria De Filippi, durante l'accoglienza dei tanti che sono arrivati alla camera ardente per rendere omaggio a Maurizio Costanzo. Molti si sono indignati. Sui social è scattata la gogna più classica. Avvoltoi che si specchiano nel disagio. C'è stata la solidarietà nei confronti della vedova, una donna che ha perso suo marito da meno di 48 ore e che si è ritrovata due sprovveduti che, in un momento come quello, le hanno chiesto il trofeo di caccia da esibire tra amici, parenti e piazze virtuali. Qualcuno ha scritto che, in fondo, avrebbe potuto rifiutare quella disponibilità a una richiesta tanto sacrilega. Qualcuno, più sardonico, ha invece scritto che quello rappresenta proprio la piazza ideale della gente dei suoi show, sempre pronta a mettersi in mostra e in discussione per pochi istanti di effimera celebrità.
Queste affermazioni non mi sorprendono, così come non mi hanno sorpreso i due idioti della contemporaneità (li chiamo così per citare Michel Houellebecq) che hanno sfidato buonsenso e buongusto. Perché? Perché questa situazione ci assomiglia. Noi siamo loro. Siamo l'esercito del selfie, ce lo dicevano Arisa e Lorenzo Fragola qualche hit estiva fa. I due ragazzi e dall'altra parte noi, qui a puntare il dito, siamo la faccia delle stessa medaglia. Siamo mostri e siamo cavalieri. Siamo tutti i sentimenti detti e taciuti e siamo in grado di essere ogni cosa: sensibili e insensibili. Soltanto di una cosa non riusciamo a fare proprio a meno. Del nostro ombelico. Del frapporre il pronome personale "io" nella costruzione di ogni frase, perdendo di vista il pronome plurale, "noi". Nessuno lo usa più, se non per fare bassa retorica.
Questa società, così come la vedete, è stata costruita e tarata sul nostro ego personale. Non sorprendetevi, allora, di quei due ragazzi. Non sorprendetevi, quindi, della disponibilità della signora De Filippi. Non è questo il punto più basso dell'umanità. No, signori. Possiamo scendere ogni giorno un gradino più in basso. Lo stiamo già facendo. È ineluttabile.