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Lele Mora: “In carcere vedevo Riina girare senza guardie, il mio vicino di cella era Olindo di Erba”

Lele Mora si racconta apertamente in una puntata di One Podcast di Luca Casadei. L’ex agente dei vip ricorda gli inizi della sua carriera, il periodo terribile dell’arresto e del carcere, oltre al tentato suicidio di cui, però, si è pentito.
A cura di Ilaria Costabile
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Ospite del podcast di Luca Casadei, a raccontarsi a tutto tondo è stato Lele Mora, l'ex agente dei vip nonché personaggio televisivo, ha parlato degli inizi del suo percorso nel mondo dello spettacolo, passando per l'amicizia con Silvio Berlusconi e raccontando anche i momenti più difficili, come l'anno trascorso in carcere dopo il suo arresto, e quando ha provato a togliersi la vita.

Gli inizi in televisione e l'amicizia con Berlusconi

Il sogno di Lele Mora era studiare, ma venendo da una famiglia di contadini è sempre stato difficile poter realizzare questa ambizione, ma poi dopo essersi scritto a una scuola alberghiera ed essere arrivato a Venezia, ha capito che il mondo dello spettacolo poteva essere l'ambiente a lui più congeniale. Il suo ingresso in tv, però, lo deve ad un personaggio in particolare, come racconta ricordando il suo arrivo a Mediaset:

Ho conosciuto Giampiero Malena, il manager di Pippo Baudo, ma amico di tanti altri, che mi ha detto: “Guarda Lele, tu hai un carattere meraviglioso e puoi fare il lavoro che faccio io, hai più pazienza di me, sei più dolce, sei più attento, sei più delicato su alcune cose. Ti porterò con me in vari posti”. Così è successo e devo dire che Giampiero è stato il mio passe-partout per tutto quello che ho fatto. Sono riuscito a entrare a Mediaset a 22/ 23 anni, e la prima persona che mi ha presentato è stata Fatma Ruffini – che io chiamo: “la televisione”, perché grazie a lei io ho imparato a fare televisione – che mi ha dato il primo incarico: mi fece un contratto di varie puntate di “Scherzi a parte”

All'inizio degli Anni 80, poi, divenne molto amico di Silvio Berlusconi, che ricorda con grande stima: "Ci sentivamo cinque, sei volte al giorno. Ero molto lusingato di aver incontrato e di avere a che fare con uomo come lui. Nel periodo in cui lo frequentavo, c’era tanta gente che mi chiedeva di venire ad Arcore a cenare con lui o a conoscerlo, però io non mi sono mai permesso di invitare nessuno perché la volevo tenere per me questa grande amicizia". 

L'arresto e i giorni in carcere

Il successo di Lele Mora lo ha portato per anni a vivere una vita dedita allo sfarzo, al lusso, alla mondanità. Ma non sono mancati anche i guai giudiziari e di fatti l'ex agente racconta il momento esatto in cui fu arrestato nel 2011 e portato in carcere:

Sono stato arrestato per bancarotta perché avevo un debito con l’ufficio entrate. Stavo trattando per pagare questo debito, ma non è stato possibile: ero già stato in tribunale per fare un accordo ma il giudice non aveva accettato la dilazione di pagamento che avevo prospettato. Hanno emesso un mandato di cattura. Io ero seduto alla mia scrivania quel giorno e ho visto nel sottopancia delle televisioni: “Arrestato Lele Mora”. Dopo circa tre orette, è suonato il campanello: la Guardia di Finanza è entrata in ufficio con un mandato di arresto. Poi mi hanno accompagnato nel carcere di Opera e lì ho fatto dentro 407 giorni

Quel periodo è stato terribile e ancora oggi Mora non riesce a spiegarsi il perché fosse così braccato, quando altri personaggi, invece, nella loro reclusione sembravano più liberi di quanto fosse lui: "Ero in isolamento, con sorveglianza a vista e divieto di incontro per tutto il tempo. Quando uscivo dalla mia cella c’erano 7/8 guardie che mi accompagnavano a colloquio con l’avvocato o dai parenti. Vedevo girare per il carcere Riina senza guardie e io, invece, ero seguito da otto di loro. Un mio vicino di cella era Olindo di Erba. Ho chiesto al comandante di poter creare un orto dietro il carcere. L’ho fatto pulire bene con dei detenuti che mi sono fatto dare e ho creato un orto meraviglioso: era “orto-terapia” e mi aiutava". 

Il tentato suicidio

La vita, in carcere, ha fatto emergere nel tempo pensieri intrusivi, dolorosi, privi di speranza. Ed è colto da questa profonda sofferenza che, infatti, ha provato a togliersi la vita, pentendosi poi del gesto estremo che stava per compiere:

Era la Vigilia di Natale, erano venuti i miei figli e vederli andare via dalla finestra mi ha fatto sentir morire. Sono tornato in cella, non ho più pensato a niente, solo: “Perché devo stare qua? Perché devo soffrire così tanto e far soffrire così tanto i miei figli? Se mi tolgo la vita, forse è la cosa più bella”. Vicino al mio letto, c’era una lampada tutta incerottata, ho staccato tutto lo scotch, mi sono messo un asciugamano in bocca e mi sono incerottato. Penso di essere anche svenuto perché non respiravo più. È arrivato il poliziotto penitenziario, mi ha chiamato e io non ho risposto. Subito mi hanno caricato e portato in ospedale. Per via di quel gesto, poi, ho avuto due ischemie brutte.

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